FILMOGRAFIA DI GIORGIO, Tutti i film di Giorgio: impariamo a conoscerli..

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Tirabassa
view post Posted on 22/5/2007, 15:28




Apro questa nuova discussione per parlare di tutti i film in cui ha lavorato il nostro Giorgio...
Naturalmente mi affido anche a voi, al vostro aiuto, magari se avete articoli, foto o quant'altro (sarebbe bello, ad esempio, avere le locandine... ;) ), o se magari ne trovate in giro per Internet o ne foste in possesso voi o chissà se ne avrete visto qualcuno al cinema: buon lavoro e buona lettura a tutti/e!

"MAGIC MOMENTS"

Cast: Stefania Sandrelli, Sergio Castellitto, Fabio Traversa, Rodolfo Laganà, Shereen Sabet, Clara Colosimo, Piero Natoli, Nando Paone, Laurie Sherman
Regia: Luciano Odorisio
Sceneggiatura: Luciano Odorisio, Gaetano Stucchi
Data di uscita: 1984
Genere: Commedia
Interpreta: Altri personaggi


Sinossi

Fra i tanti che aspirano ad inserirsi in qualche modo nell'orbita romana della tv, ci sono Roberto (detto Bo) che coltiva sogni di glorie registiche, Ben, un altro provinciale approdato nella Capitale con idee di produzione ed il giovane Cico, un comico dilettante. Mentre quest'ultimo si perde presto dietro alle grazie di Cica, una bancarellara simpatica quanto schietta e pratica, e mentre Ben si estenua in penose attese, Bo si innamora (ricambiato) di Francesca, che già lavora in televisione per servizi sulla moda e sui giovani. Ne nasce una relazione, della quale anche gli altri due amici sono felici, ma i due si lasciano dopo poco tempo. Due anni e nove mesi dopo però, una comune amica informa Bo che questa ha avuto un bel bambino. L'idea che il figlio sia suo affascina Bo che, fattosi assumere una prima volta con uno stratagemma come "baby-sitter", si installa poi in casa di Francesca come "tuttofare". La donna, anche se prova per Bo un sincero affetto, ama la propria libertà, non vuole legami e, ha molti impegni di lavoro, che la costringono a essere spesso fuori casa. Francesca comunque è decisa a non dire mai a Bo chi è il padre del bambino. Bo, che si è improvvisato casalinga, pensa lui al "ménage" e il piccolo lo adora. Però alla fine subentra la disillusione e, anche se - a detta di Francesca - la tv ha finalmente approvato, Bo decide di andarsene. Anche i vecchi amici, delusi, pensano ad altro: Ben si è addirittura ridotto a vendere cimeli (falsi) del mondo cinematografico. Solo a Cico pare che sia andata bene (ma su di un piano diverso): ricusate le proprie velleità di attore, ha sposato Cica e i due aspettano con gioia un figlio mentre, al posto della modesta bancarella di un tempo, vi è ora un elegante locale. Tutti i sogni di gloria i programmi e le sognate produzioni televisive sono già solamente ricordi di illusioni sbiadite."


DA: http://it.movies.yahoo.com/m/magic-moments/index-126627.html


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"SNACK BAR BUDAPEST"

Cast: Raffaella Baracchi, Giancarlo Giannini, Francois Negret, Valentine Demi, Philippe Leotard, Katalin Murani, Sylvie Orlier, Giorgio Tirabassi
Regia: Tinto Brass
Sceneggiatura: Tinto Brass
Data di uscita: 1988
Genere: Grottesco
Interpreta: "Altri personaggi"



Sinossi

In un pomeriggio d'inverno, l'avvocato accompagna all'ospedale di una località balneare la propria amica Milena, che dovrà abortire. Lui è un mezzo fallito, già radiato dall'albo per aver schiaffeggiato in udienza un magistrato e che ora vivacchia facendo il consulente di loschi uomini di affari. Gli è stato proposto di fiancheggiare a pagamento un certo Molecola. Costui è un diciassettenne utopista e maniacale, che a capo di una banda di teppisti e picchiatori, oltre che di sfrontate ragazze da marciapiede, coltiva un suo sogno faraonico: quello di trasformare la città in un immenso lunapark. L' avvocato, affascinato dalla fredda determinazione del ragazzo - che con tutti i suoi è in attesa dell'arrivo dal Portogallo di un idolo, Faffo, per il quale sono pronti una festa e fuochi d'artificio -decide di collaborare con lui. Nel frattempo, Molecola ha distrutto un cinema e comprato, sotto minacce e pressioni, alberghi vari. Ma quella che sarebbe dovuta essere una notte di festa e di allegria si tramuta in tragedia: Molecola ha deciso di sfrattare una coppia che gestisce lo Snack Bar Budapest. Per una strana fatalità, essa è la medesima che l'avvocato difendeva in aula nel processo che gli è costata la radiazione (lui è un camionista italiano, lei è una di Budapest, fortunosamente fuggiti dall'Ungheria, poi implicati in una questione di danaro). Ora l'avvocato, recatosi nella locanda per convincerne i gestori a sloggiare, insieme all'amico Sapo (con cui condivide la sua grama vita e la stessa amante Milena), si trova costretto a prendere le difese di quella gente. Con un ferro da stiro uccide Papera (il braccio destro di Molecola), cui egli stesso aveva aperto la porta dello Snack e poi, aiutato da Sapo, ne trascina il cadavere fino al mare. Ma Molecola non perdona: la banda assedia il locale, i fuochi d'artificio si alternano ai proiettili, Sapo viene ferito e, all'ultimo incontro con Molecola, l'avvocato gli spara uccidendolo. I due fuggono in sidecar per andare a riprendere Milena. Ma nel frattempo la ragazza è stata uccisa nel suo letto da qualcuno della gang dei delinquenti. Con quel corpo inerte fra le braccia di Sapo, l'avvocato riprende la toga, mentre nell'alba il mitico Faffo - in realtà nulla più che un giovanotto borioso e pacchianamente vestito come un piccolo boss di malaffare attende furente che qualcuno si decida a venire a prenderlo, troppo tardi comunque per una festa, di cui egli ignora ancora tutta la gravità degli eventi.


Fonte da: http://it.movies.yahoo.com/s/snack-bar-bud...dex-129293.html

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"VERSO SERA"

Cast: Marcello Mastroianni, Sandrine Bonnaire, Zoe Incrocci, Giorgio Tirabassi, Victor Cavallo, Dante Bagiumi, Gisella Burinato, Veronica Lazar, Paolo Panelli
Regia: Francesca Archibugi
Sceneggiatura: Francesca Archibugi, Gloria Malatesta, Claudia Sbarigia
Data di uscita: 1990
Genere: Drammatico
Interpreta: "Oliviero"


Sinossi

Nel 1977, durante gli anni di "piombo", Ludovico Bruschi, professore universitario in pensione e comunista "aristocratico", vive a Roma nel suo villino ai Parioli, servito con devozione dalla domestica Elvira, quando arriva improvvisamente suo figlio Oliviero. Questi è un hippy insicuro e inconcludente, che si è appena separato dalla sua compagna Stella (andatasene con un altro), e gli chiede di occuparsi per qualche tempo della loro figlioletta Mescalina, detta Papere, di 4 anni, la quale sostiene di avere sempre accanto a sè Papere II, il suo doppio, con la quale parla e gioca. Il professore, vedovo da tempo, si occupa abitualmente di musica, suonando in un quartetto, e di giardinaggio e ha una stanca relazione con la matura Pina. Ripartito il giovane, che vuole impiantare, in una zona isolata, un allevamento di capre e si fa dare perciò soldi dal padre, Papere conquista subito il nonno con la sua vivissima intelligenza e la sua grazia ensosa, mentre lui sa darle una vita sana e ordinata, la guida con dolce fermezza e si preoccupa della sua istruzione. Ma ecco arrivare improvvisamente Stella, della quale la piccola sente la mancanza, e la "nuora" ventitreenne, aggressiva e ostentatamente ignorante, comunista del "movimento" e abituata a vivere in modo zingaresco, si trova subito in conflitto generazionale ed ideologico col "suocero", tanto da andarsene al più presto. Però, quando Stella è ricoverata, in seguito ad un incidente, in ospedale con una gamba ingessata, Bruschi se la riporta a casa, e la necessaria immobilità costringe la ragazza ad approfondire la conoscenza col "suocero", del quale subisce il fascino intellettuale, mentre il suo temperamento aggressivo si addolcisce, vinto dalla tenerezza, spesso ironica, del professore. Nasce così fra i due un sentimento, quasi sempre inespresso, ma importante, al quale Ludovico sa resistere per i suoi saldi principi morali, ma al quale Stella, invece, forse cederebbe. Dopo aver insistito inutilmente per far iscrivere la ragazza all'università, e in seguito ad un vibrante colloquio, nel quale lei gli rimprovera anche la sua mancanza di coraggio nei loro rapporti, Ludovico lascia partire madre e figlia per qualche giorno, e, quando tornano a Roma, compra loro un appartamento dalla parte opposta della città, e torna alla sua solitudine. Lasciata poi alla nipotina una lettera (che dovrà leggere da grande), per spiegarle ciò che è accaduto in quell'anno fra lei, il nonno e la madre, il Professor Bruschi muore.

Note:

- DAVIDE DI DONATELLO NEL 1991 PER MIGLIOR FILM (FRANCESCA ARCHIBUGI), MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA (ZOE INCROCCI).


La Critica - Rassegna Stampa

Il film è troppo parlato, tutto viene troppo ripetutamente spiegato provocando momenti di stasi tediata; la voluta schematicità dei protagonisti, maschere sociali o figure proverbiali più che persone, portatori di concetti più che di emozioni, non aiuta l'affetto e l'identificazione. (Lietta Tornabuoni, La Stampa). Benchè la seconda metà del film soffra d'una struttura drammaturgica eccessivamente frantumata, e tutto il discorso sia un po' troppo didascalico e parlato, la vena critica con affondi cecoviani riesce a emergere e a toccarci. (Giovanni Grazzini, Il Messaggero).

Le situazioni sono troppo fitte, i personaggi si illustrano oltre il necessario, con dialoghi eccessivamente verbosi e l'ordine narrativo, scompigliato da incidenti paralleli al nucleo centrale, non è misurato nè controllato come si vorrebbe. (Gian Luigi Rondi, Il Tempo).

Bisogna dar atto a "Verso sera" di non essere nè pedante nè sentenzioso, ma sofferto, commosso e nello stesso tempo pervaso da un'ironia sottile e raffinata. (Enzo Natta, Famiglia cristiana).

Copyright © Cinematografo 2006.


DA: http://it.movies.yahoo.com/v/verso-sera/index-128608.html


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"IL RICHIAMO DELLA NOTTE"

Cast: Claudio Amendola, Adriana Biedrzynska, Antonello Fassari, Silvio Orlando, Monica Scattini, Giorgio Tirabassi
Regia: Carlo Mazzacurati
Sceneggiatura: Franco Bernini, Carlo Mazzacurati
Data di uscita: 1992
Genere: Altro
Interpreta: "Vanni"


Sinossi

Non disponibile al momento


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"UN'ALTRA VITA"

Cast: Silvio Orlando, Adriana Biedrzynska, Claudio Amendola, Antonella Ponziani, Giorgio Tirabassi, Monica Scattini, Pasquale Anselmo, Maciej Robakiewicz, Antonello Fassari
Regia: Carlo Mazzacurati
Sceneggiatura: Franco Bernini, Carlo Mazzacurati
Data di uscita: 1992
Genere: Drammatico
Interpreta: "Vanni"


Sinossi

Saverio, dentista ancora giovane, è separato dalla moglie e vive solo, esercitando svogliatamente la sua professione. A rompere la monotonia delle sue giornate ripetitive, capita un giorno alla porta dello studio Alia, una giovane straniera agitata e dolorante, per farsi curare un dente. Le fa notare che sono necessarie alcune sedute ma lei insiste perchè la curi subito. Saverio inizia il lavoro e le mette a disposizione una stanza perchè riposi un poco fra un intervento e l'altro, ma quando va a chiamarla, la donna è scomparsa senza pagare, lasciandolo sorpreso e dubbioso. Alia si ripresenta dopo qualche giorno per proseguire la cura. Graziosa e un po' misteriosa, Saverio inizia timidamente a corteggiarla, trovandola disponibile, ma poi Alia scompare di nuovo. Incuriosito e attratto, Saverio si mette a cercarla. le sue ricerche lo portano a conoscere Mauro, un ragazzo che finisce con l'indurre il demotivato dentista a seguirlo sera dopo sera da un bar a un locale equivoco, da una discoteca a una casa di appuntamenti. Una sera Saverio nota che, dopo una discussione animata con un ragazzino, Mauro corre via eccitatissimo. Insospettito lo segue e giunge a una baraccopoli in riva al mare, dove vivono rifugiati d'ogni provenienza, giusto in tempo per tentare di salvare Alia, che ha tentato di uscire dal giro di Mauro, facendolo infuriare. Mentre Saverio sta per soccombere in una rissa impari con Mauro, la ragazza, impacciata ed esitante, si impadronisce della pistola caduta al malavitoso e spara.

Note:

- DAVID DI DONATELLO 1993 PER MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA A CLAUDIO AMENDOLA.

- SUONO: FRANCO BORNI


Recensione La Critica - Rassegna Stampa

"Narrativamente discontinuo, il film risulta a volte faticoso e ripetitivo, con un protagonista che arranca dietro una cliente sconosciuta; segue senza un minimo di autonomia un tipo losco, che si muove come a casa sua nell'ambiente squallido della prostituzione senza che lui sembri rendersene conto, anzi divenendone amico; si lascia trasportare da lui da un locale all'altro, annoiato e assente, senza partecipare e senza rifiutare, e senza che quella miserabile "altra vita" susciti in lui attrazione o sorpresa, complicità o rifiuto. Privo di umanità e di pathos, tutto tasselli in cerca di collocazione logica, il film non coinvolge, non denuncia, non si pronuncia: descrive situazioni e ambienti presentandoli come realtà curiose, certamente esistenti, ma guardate con indifferenza, e personaggi tragici visti come fenomeni del parossistico quotidiano." (Segnalazioni cinematografiche, vol. 114, 1992)

Copyright © Cinematografo 2006


DA: http://it.movies.yahoo.com/u/unaltra-vita/index-181055.html


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"UN COMMISSARIO A ROMA"

Cast: Nino Manfredi, Dario Cantarelli, Francoise Fabian, Giorgio Tirabassi, Sophie Carle, Jacques Barbot, Jacques Stany, Roberta Manfredi
Regia: Luca Manfredi, Ignazio Agosta, Roberto Giannarelli
Durata: 13:30:00
Anno: 1992-1993
Generi: Commedia, Drammatico, Poliziesco
Interpreta: "Altri personaggi"


Sinossi

La serie narra le vicende del commissario Amidei, testardo e preciso ma anche simpatico, e dei suoi collaboratori. il dottor Palma della scientifica, l'ispettore Rondoni, la ispettrice Mattei, l'autista Galiano. I casi spaziano dalle scommesse clandestine, ai delitti passionali, al traffico di bambini, ai furti. Ma oltre alle vicende professionali ci sono anche quelle private del commissario Amidei e della sua famiglia, composta dalla moglie Renata, insegnante di pianoforte, e da due figlie di cui una, Chiara, ha un bambino, orgoglio del nonno commissario.

Note:

SERIE DI 9 PUNTATE DA 90' CIASCUNA, TRASMESSE DA RAIUNO DAL 21 FEBBRAIO AL 25 APRILE 1993 - MEDIA DI ASCOLTO 5.700


DA: http://it.movies.yahoo.com/u/un-commissari...dex-141808.html


Edited by Tirabassa - 25/5/2007, 17:05
 
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giorgettatirabassi
view post Posted on 22/5/2007, 18:40




Brava Ross, ottima idea, cerchero' anch'io di arricchire la discussione!!!!
 
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Tirabassa
view post Posted on 22/5/2007, 18:46




GRAZIE!:D
E CE N'E' DI MATERIALE DA CERCARE!!!! ;)
CON TUTTO QUELLO CHE HA FATTO GIORGIO! :D :P ;)
 
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giorgettatirabassi
view post Posted on 23/5/2007, 10:05




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"IL BRANCO"

Regia: Marco Risi
Vietato: 14
Video: Cecchi Gori Home Video
Genere: Drammatico
Tipologia: Disagio giovanile
Eta' consigliata: Scuole medie superiori
Soggetto: Tratto dal romanzo omonimo di Andrea Carraro
Sceneggiatura: Andrea Carraro, Marco Risi
Fotografia: Massimo Pau
Musiche: Franco Piersanti
Montaggio: Franco Fraticelli
Interpreti: Giampiero Lisarelli (Raniero), Angelika Krautzberger (Marion), Ricky Memphis (Pallesecche), Tamara Simunovic (Sylvia), Salvatore Spada (Ciccio), Giorgio Tirabassi (Sola), Natale Tulli (Sor Quinto), Luca Zingaretti (Ottorino)
Produzione: Cecchi Gori Group, Tiger Cinematografica, Sorpasso Film Group
Distribuzione: Cecchi Gori
Origine: Italia
Anno: 1994
Durata: 93'


Trama:

Una domenica in un paese dell'agro romano, Raniero, aspirante carabiniere soprannominato per questo "Carruba", incontra i soliti amici al biliardo. Fidanzato con Ernestina, mal sopporta il padre che gli rimprovera le balorde amicizie con Pallesecche, Ciccio, Ottorino, Sola e l'accidia. Giunge Sola con la notizia che due turiste tedesche autostoppiste, "agganciate" da Ottorino, si trovano nella baracca del sor Quintino, a disposizione. Il gruppo si reca sul posto: una ragazza, Marion, viene tenuta nell'automobile di Ottorino, e l'altra, Sylvia, attende il successivo stupratore. Si è sacrificata per salvare l'amica, vergine, dal massacro. Raniero non è capace di usarle violenza e la porta in automobile dicendo che per lei ora basta. Ciò però scatena la furia degli altri su Marion, mentre le grida di costei e i rimproveri di Sylvia, che ha colto la debolezza, nel bene e nel male, del ragazzo, non lo smuovono. Anzi, egli insegue e picchia Sylvia quando questa tenta di scappare nel bosco che circonda la zona. Pallesecche, intanto abusa di Sylvia sotto i suoi occhi, ma lui si limita a sfiorare la mano della ragazza. Mentre due del gruppo litigano, le ragazze tentano una vana fuga. Viene proposto di andare a chiamare gente in paese per abusare, a pagamento, delle due giovani. Ma il rifiuto di Marion a soggiacere all'ennesima sevizia fa si che Pallesecche la colpisca mortalmente alla testa con un martello. Mentre tutti scappano, Sylvia compresa, Ottorino picchia selvaggiamente l'assassino; quindi incarica Raniero di inseguire Sylvia verso la ferrovia, e con gli altri porta via il cadavere. Raniero rintraccia la ragazza, ma questa si rifugia presso un casellante, intervengono i carabinieri che arrestano così Raniero.


Critica 1:

Dal romanzo omonimo di Andrea Carraro. In una cittadina laziale (il fatto di cronaca cui s'ispira avvenne a Marcellina) un gruppo di ragazzi compie uno stupro collettivo di cui sono vittime due autostoppiste tedesche. Una delle due muore e viene scaricata in un laghetto come immondizia. Al crimine partecipano un adulto e, come complice, un anziano. Calato in un clima notturno di noir campestre in bilico sull'horror, è un film di denuncia che lascia fuori campo la dimensione sessuale, tranne che in una scena, ma è indebolito da goffi ritorni all'indietro sull'ambiguo personaggio di Raniero, il più gentile del gruppo e forse il peggiore (...).
Autore critica:
Fonte critica Il Morandini - Dizionario dei film, Zanichelli


Critica 2:

Ragazzi fuori? No, ragazzi vuoti. Questa volta Marco Risi tiene le distanze, non entra in confidenza con i suoi giovani protagonisti, non capisce, anzi ci dice che c'è poco da capire: la violenza è gratuita, espressione del nulla di una generazione allo sbando, pura bestialità rognosa e ringhiante. Brutti, sporchi e cattivi, dunque, i ragazzi del Branco: chissà se Risi si è chiesto quale grado di parentela ci sia tra Raniero e i suoi amici stupratori del sabato sera in questo suo ultimo film e i Ragazzi fuori di cui ha raccontato altra volta i casi. Perché, tutto sommato, la questione di un film come Il branco è proprio qui, nella mancata continuità di un rapporto chiaro e semplice tra un regista e i suoi personaggi.
Ci si chiede infatti dove siano finite le mille buone ragioni che avevano fatto dei ragazzi di Palermo dei Ragazzi fuori e che, ora ignorate e messe a tacere, fanno di questi ragazzi un Branco assassino. Forse sono rimaste in tasca ad Aurelio Grimaldi, e Marco Risi non è riuscito a trovarle nelle pagine di Andrea Carraro, dal cui omonimo libro (singolare esempio di romanzo-parassita, ispirato ad uno dei dodici episodi di stupro raccontati da Tina Lagostena Bassi nel suo “L'avvocato delle donne”) ha tratto ispirazione per questo suo nuovo film-verità. Non che ci siano buone ragioni, sia chiaro, nella storia di questi sbandati ragazzi dell'entroterra romano che un sabato sera, mentre il paese è in festa nel giorno del patrono, si trastullano violentando a turno due autostoppiste tedesche rapite e portate di forza nella squallida baracca di uno sfasciacarrozze. La questione, però, riguarda l'approccio di Risi alla vicenda raccontata, che, in questo caso, non si sforza neanche di andare oltre l'orrore di un atto brutale e abbrutente, fermandosi all'effetto orripilante e alla semplice condanna.
Non basta, insomma, dire che il film lavora sulle dinamiche di gruppo aberranti, sull'appiattimento che il branco opera sul singolo e sulle sue buone potenzialità, annullandolo nella devianza della violenza. Le ragioni di un triste fatto come quello raccontato nel film sono ben altre e Risi non le sfiora neanche. Il distacco e la sufficienza con cui l'autore tratta il personaggio di Raniero è in questo senso sintomatico: Risi ne fa un ragazzotto figlio di mamma, che piange quando il padre gli dà del buono a nulla, aspetta la chiamata nei Carabinieri, bamboleggia con la fidanzata, sogna di lasciare il paese, non sa andare a donne e, per la sua debolezza, rischia di essere emarginato dal gruppo. Su questo perdente senza qualità il film monta la sua struttura tematica senza però articolarla in profondità. Sicché è lui che cerca di risparmiare lo stupro ad una delle due ragazze, ma non evita di sottolineare morbose motivazioni, sino al laconico giudizio della tedeschina che gli dice: “Gli altri sono delle bestie, tu sei solo un verme!”. Ed ha ragione, la ragazza, perché Raniero, al quale pure Risi e Carraro vorrebbero affidare un doppiofondo prolifico di risvolti umani e sociali, resta una sagoma senza nerbo. Il film non riesce minimamente ad approfondire il suo rapporto col gruppo, accennando in un primo momento al fatto che, in realtà, il primo ad essere "violentato" dal branco è proprio lui, ma poi schiacciandolo sotto la responsabilità di aver suggerito agli altri l'idea di invitare tutto il paese alla "festa" per una botta a pagamento.
Sicché il finale - col suo delirio madonnaro, le memorie religiose d'infanzia, la commozione, la confusione... crolla addosso a questo misero ragazzotto, senza accrescerne di un grammo il peso narrativo. E Risi dimostra di fare cinema puramente formale, girato anche bene - ché Il branco, se é per questo, ha forza e sa toccare i nervi, soprattutto del pubblico femminile (...).

Autore critica: Massimo Causo
Fonte critica: Cineforum n.337
Data critica:9/1994


Il film e' tratto dall'omonimo libro:image

Titolo libro: Branco (Il)
Autore libro: Carraro Andrea

n.22 - Serie rosa di Parma
Pagg.178
Formato 12X16, brossura, colori.
Codice ISBN 88-87803-57-9
Uscita: settembre 2005

Il controverso racconto di uno strupro collettivo di due turiste straniere, visto dalla ingiustificabile posizione dei violentatori. L'autore, con un verismo dalla facile e godibile lettura vi trasporterà nel gorgo della violenza dove le vere vittime vi sembreranno essere i ragazzi del "branco".
Questo testo "politicamente scorretto" apparve per i tipi della defunta società editrice romana "Theoria" nell'ormai lontano 1994, avendo un indubbio successo di pubblico e di critica. nonche una interessante trasposizione cinematografica firmata da Marco Risi con Ricky Memphis e Luca Zingaretti.
La Gaffi togliendolo dall'ingiustificato oblio lo ha ridato alle stampe corredato con un corposo saggio critico di Filippo La Porta su tutta la carriera dello scrittore.


Fonte da: http://www.municipio.re.it/cinema/catfilm....63?opendocument

Fonte libro da: www.gaffi.it/cgi-bin/front_end/libri?collana=14

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"AL CENTRO DELL'AREA DI RIGORE"

Cast: Guillaume Fontannaz, Christian Capone, Giorgio Tirabassi,
Donat Guibert, Marzia Aquilani, Daniele Pio, Julie Turin, Leila Durante, Sal Borgese
Regia: Bruno Garbuglia
Sceneggiatura: Bruno Garbuglia
Anno:1994
Genere: Drammatico
Distribuito da ISTITUTO LUCE (1996) - MONDADORI VIDEO
Interpreta: "Carletto"


Sinossi

Nel maggio del 1942, a Roma, città aperta, alcuni giovani, accesi tifosi romanisti (Renato, Tina, Mozzicone e Carletto), per seguire la squadra del cuore nell'ultima e decisiva trasferta torinese, cercano di organizzare un viaggio e si arrabattano per raggranellare i soldi. Al gruppo si unisce Biagio, amicissimo di Renato, che seppure laziale, sfumata l'assunzione alle ferrovie invano perseguita dal padre, deve partire soldato e vuol trascorrere l'ultima settimana con gli amici, e Roberto, fidanzato di Rosa, sorella di Renato, e attivista comunista, che approfitta di questa copertura per ritirare un importante documento. Dopo qualche indecisione i giovani partono col camioncino di Carletto, ma incontrano alcune difficoltà: restano impantanati in un fiume ed un buttero li rimorchia coi suoi cavalli; derubano un "borsaro" nero che li insegue e brucia il camioncino; incontrano due ballerine del varietà disoccupate che organizzano uno spettacolo balneare e Biagio crede di aver trovato l'amore; Renato, dopo un bagno estemporaneo in mare, si accorge finalmente della graziosa Tina, che ha per lui un debole, che ha sempre respinto ritenendola una ragazzina. Dopo aver assistito a Talamone al rito delle spose di guerra, i giovani si ricongiungono al treno dei tifosi romani. A Torino Roberto contatta un professore che gli consegna lo storico "Documento di Tolosa", primo manifesto antifascista delle forze democratiche italiane, ma il giovane deve fuggire dal retro per l'arrivo della polizia dell'OVRA che arresta però Renato e Biagio sopraggiunti perché preoccupati del ritardo dell'amico. Invano tentano di spiegare al commissario il motivo della loro visita al professore, da tempo sorvegliato. Il commissario fa portare una radio che trasmette la partita, blandendoli con la promessa di farli condurre allo stadio in automobile, ma i giovani non parlano anche sotto le percosse degli agenti. L'unico nome che Renato fa è quello di Amadei, il giocatore della Roma che in quel momento ha segnato il goal per la squadra che così vince lo scudetto.


Fonte da: http://it.movies.yahoo.com/a/al-centro-del...dex-132538.html

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"CORRERE CONTRO"

Cast: Stefano Dionisi, Massimo Bellinzoni, Stefania Rocca, Pierfrancesco Favino,
Damiano Capocitti, Mauro Marino, Giorgio Tirabassi
Regia: Antonio Tibaldi
Sceneggiatura: Nino Bizzarri, Guglielmo Enea, Alessandro Sermoneta, Antonio Tibaldi
Data di uscita: 1996
Genere: Romantico
Interpreta: "Altri personaggi"


Sinossi

Correre contro è la storia dell'amicizia fra Pablo, un ragazzo costretto sulla sedia a rotelle a causa di un incidente, e Daniele, un ragazzo inviato a svolgere il servizio civile nel centro di riabilitazione dove Pablo si reca. All'inizio fra i due c'è una certa diffidenza ma poi diventano amici. Fanno la conoscenza di Chiara, una ragazza affetta da epilessia, ed entrambi se ne innamorano. Ma Pablo, temendo di essere rifiutato a causa del suo handicap, rinuncia a lei e spinge Daniele a farsi avanti. Chiara sa bene cosa significa sentirsi "diversi" e vorrebbe dimostrare a Pablo il suo amore, ma viene da lui respinta, per paura di non essere accettato. Sarà grazie all'intervento di Daniele che i due riusciranno a capirsi fino in fondo e a vivere il loro amore.


Note:

FILM TV TRASMESSO DA RAIDUE PER IL CICLO "DIVERSI" - DATA DI TRASMISSIONE 11 FEBBRAIO 1996; ASCOLTO 2.489


Fonte da: http://it.movies.yahoo.com/c/correre-contr...dex-141831.html

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"SANTO STEFANO"

Regia: Angelo Pasquini
Con: Claudio Bigagli, Claudio Amendola, Laura Morante, Andrea De Rosa,
Lucio Allocca, Antonio Petrocelli, Giorgio Tirabassi, Gaetano Amato,
Antonio Pennarella, Rosa Pianeta, Paolo Gasparini, Lello Serao, Emanuele Valenti.
Genere: Drammatico
Durata: 87 minuti
Produzione: Italia
Anno: 1997
Interpreta: "Furci"


Sinossi

Penitenziario di Santo Stefano. Il Direttore D'Assisi cerca di umanizzare la realtà carceraria incontrando però forti resistenze da parte delle autorità. Sul piano personale D'Assisi si trova a confrontarsi con il legame di amicizia che si instaura tra suo figlio Antonio e Nicola, un carcerato che gli fa quasi da precettore. Quando Nicola tenterà la fuga Antonio dovrà decidere se rivelare dove si trova nascosto o tacere.


Critica:

Film coprodotto dalla Rai, altro film sul carcere (è il tic, la mania di quest'anno), altra storia seguita attraverso un bambino, Santo Stefano segna il debutto nella regia di Angelo Pasquini, soggettista e sceneggiatore anche de Il portaborse di Luchetti, di Sud di Salvatores. È la storia vera, negli Anni Cinquanta, del direttore riformatore (Claudio Bigagli) d'un carcere per ergastolani, del suo impegno e della sua battaglia per dare ai prigionieri confinati sull'isoletta tirrenica una vita non disumana, della sua sconfitta nel clima repressivo e conservatore instauratosi nel 1960 con il governo Tambroni appoggiato dall'estrema destra. Nel carcere va a vivere e studiare per qualche tempo il figlio ragazzino del direttore (Andrea De Rosa), che sarà testimone delle riforme e della loro cancellazione, che imparerà a essere uomo nell'amicizia con uno degli ergastolani (Claudio Amendola). Lo stile è medio, consueto. L'intento è probo: sono davvero memorabili le persone di buona volontà che per prime, trenta o quarant'anni fa, con ardore e rigore, a volte sostenute dall'umanesimo cristiano, aiutate oppure abbandonate dalla Chiesa, tentarono di introdurre civiltà in un Paese arretrato, contro l'opposizione dei conservatori. E il film, una volta tanto, ricostruisce gli Anni Cinquanta con esattezza eloquente, senza luoghi comuni.
Da La Stampa, 30 Agosto 1997


Fonte da: http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=21533
http://www.mymovies.it/dizionario/critica.asp?id=5721


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"IL CARNIERE"

Regia: Maurizio Zaccaro
Con: Massimo Ghini, Leo Gullotta, Antonio Catania,
Fabio Sartor, Giorgio Tirabassi, Roberto Zibetti, Paraskeva Djukelova.
Genere: Drammatico
Durata: 94 minuti
Produzione: Italia
Anno: 1997
Interpreta: "Altri personaggi"


Sinossi

Trama 1:

Verso la fine dell'estate 1991, su una station wagon tre italiani raggiungono una riserva di caccia in Croazia. Vanno a cervi, ma, ignari di quel che da mesi bolle in pentola, non sanno decifrare gli enigmatici segnali che li circondano. A caccia, uno dei tre si busca un proiettile di provenienza ignota in un ginocchio. Passano in un ospedale e finiscono in un albergo preso di mira notte e giorno dai cecchini. La vacanza si è trasformata in un incubo di paura, sangue e morte. Errori di sceneggiatura e un finale troppo didattico fiaccano, ma non sminuiscono forza e sincerità di un film limpido che coniuga efficacia e pudore, energia e delicatezza nel raccontare obliquamente la guerra come confusione, cecità, assurdo caos, scienza dell'infelicità umana. Premio S. Fedele 1997.

Trama 2:

Dall'Italia tre amici, Renzo, Paolo e Roberto, arrivano in Jugoslavia. Come ogni anno, si apprestano a raggiungere una riserva per l'abituale battuta di caccia. Hanno appuntamento con Boris, il capocaccia che li dovrà guidare nei luoghi opportuni. Stavolta però Boris non si fa trovare. Al suo posto, la figlia Rada guida gli ospiti nei boschi ma, alla sera, partono improvvisi colpi di fucile in mezzo agli alberi. Ferito ad una gamba, Paolo viene trasportato all'ospedale della più vicina città, gli altri sono interrogati dalla polizia, nelle stanze e nei corridoi si intravvedono gruppi di altri feriti. Passa la notte, e la mattina rumori di sirene, spari, incendi fanno capire la verità: è l'autunno del 1991 e in Jugoslavia è cominciata la guerra civile tra le varie regioni ed etnie. Gli italiani si trasferiscono in un hotel in disfacimento pieno di soldati, profughi, confusione. Dai palazzi di fronte i cecchini sparano e uccidono. Passerà del tempo, prima che i tre riescano a fare ritorno in Italia. La vicenda è raccontata oggi da un giornalista sportivo, che aveva conosciuto Renzo, Paolo e Roberto in quell'albergo, dove anche lui si trovava per intervistare un giocatore di basket.


Critica 1:

A proposito di Il carniere di Maurizio Zaccaro sarei tentato di definirlo un film kafkiano, ma mi trattengo per due buoni motivi: il primo è che l’aggettivo è tanto logoro da svilire una grande esperienza culturale al livello del supermarket; il secondo è che i fatti evocati sullo schermo non sono letteratura, sono ahimè veri o per lo meno terribilmente verosimili. Tre italiani vanno a caccia nella ex Jugoslavia del 93 e la guerra civile gli scoppia tra i piedi, trasformandoli in ostaggi della follia. La metafora della caccia applicata a una situazione di violenza non è nuova, basti ricordare due classici:
A caça (1963) del portoghese Manoel de Oliveira e La caccia (1966) dello spagnolo Carlos Saura. Qui l’impegno dei cinque sceneggiatori che firmano il copione (ma fra loro i soggettisti sono due soltanto, Marco Bechis e Gigi Riva) è stato soprattutto quello di graduare il passaggio dalla normalità all’inferno.
C’è una cornice, forse superflua per quanto affidata a un attore sempre significativo, in cui il giornalista Leo Gullotta racconta come una cronaca di basket gli si trasformò fra le mani nella cronaca di un massacro. Lo steward Massimo Ghini, suo fratello Roberto Zibetti e il pilota Antonio Catania arrivando in macchina nei pressi della riserva Iskar non badano a certi segni premonitori di guai, come le indicazioni stradali cancellate. Hanno avvertito qualche tensione nel paese, ma si dicono: «Se usiamo la testa, non ci succede niente». E invece non trovano il guardacaccia che hanno prenotato (sapremo poi che milita nella guerriglia), solo sua figlia Paraskeva Djukelova accetta controvoglia di accompagnarli. Sennonché sul luogo dell’appostamento cominciano a fischiare pallottole e il pilota se ne becca una nella gamba. Fuga verso una città che assomiglia alla tormentata Sarajevo vista tante volte alla tv, ricovero in un albergo-torre bersagliatissimo dai cecchini e trasformato in un girone infernale superaffollato per invasione di profughi.
Molto fedelmente ricostruita in Bulgaria (scenografia di Paola Comencini, costumi di Laura Costantini), la situazione spietata-mente evidenziata nell’inquietante e magistrale fotografia di Blasco Giurato (andrebbe ricordato nella stagione dei premi) oscilla fra l’iperrealismo e la metafora. Si scopre poco a poco che la ragazza Paraskeva (intensa attrice bulgara, che in teatro ha brillato in Kätchen von Heilbronn di Kleist e qui recita in italiano) appartiene in realtà all’etica degli assedianti, quindi si trova in particolare stato di pericolo, e lo sviluppo del suo dramma personale inserito nell’affresco catastrofico porta a uno sbocco da tragedia greca. I tre nostri connazionali (perfetti Ghini, Catania e Zibetti per credibilità, ingenuità e pragmatiche capacità di recupero) sono spettatori sbalorditi e incolpevoli che in ogni momento potrebbero trasformarsi in vittime. La musica di Pino Donaggio rinforza il succedersi dei momenti di suspense, forse con un tantino di invadenza.
Proprio la musica dà la misura di un eccesso nel registro melodrammatico che qua e là rischia di contraddire l’assunto rigoroso. Se l’ottimo Zaccaro si fosse ispirato a Paisà più che ai modelli americani, avrebbe realizzato un film memorabile; ma Il carniere resta ugualmente uno spettacolo suggestivo e forte, la conferma di un giovane talento della scuola olmiana dal quale ormai ci possiamo aspettare il meglio.
Tullio Kezich (Il Corriere della Sera)


Critica 2:

Una delle guerre contemporanee limitate, feroci, caotiche, incomprensibili, capaci di riportare l'uomo a una condizione arcaica, è raccontata molto bene da Maurizio Zaccaro ne Il carniere, attraverso la storia di tre cacciatori italiani riferita dal giornalista sportivo Leo Gullotta casualmente presente. Nell'autunno 1991 gli amici Massimo Ghini, Antonio Catania, Roberto Zibetti (fratello di Ghini) vanno come altre volte in Bosnia a sparare ai cervi, e si ritrovano nella guerra. Chi era andato per uccidere rischia d'essere ucciso, chi voleva cacciare animali vede la caccia all'uomo, chi portava il carniere conosce il carnaio, chi era arrivato da turista benestante sperimenta il destino dei profughi senza casa, senza cibo, senza illuminazione né riscaldamento, senza notizie, senza possibilità di capire cosa accada né come finirà. Riusciranno a fuggire, a tornare in Italia: con una consapevolezza nuova della precarietà attuale, della perenne minaccia, della fragilità del loro benessere di privilegiati. Apparizioni eloquenti: i cartelli stradali, le frecce direzionali, le indicazioni per i viaggiatori sono simbolicamente scomparsi, annullati da pennellate bianche; dall'alto, metodicamente, con esattezza e calma, un cecchino spara uccidendo persone a caso, approfittando della guerra per esercitarsi nel tiro, sua specialità olimpionica; la grande bellezza intatta dei paesaggi e dei boschi nasconde insidie, morte. È molto ben narrata la gradualità con cui i cacciatori italiani s'accorgono dell'assedio bellico, la loro incredulità nel constatare che le armi consuete (razionalità, soldi, cultura) non servono a nulla, la loro confusione moltiplicata dall'ignoranza della lingua, eppure la naturalezza con cui, come guidati da una memoria genetica, s'adattano ai disagi, al sonno irrequieto dei fuggiaschi, alla promiscuità, alle cure mediche primitive. Con la fotografia bella di Blasco Giurato, la disavventura diventa una intensa metafora morale: su un tema cruciale del presente Zaccaro ha fatto un film riuscito, serio, senza indulgenze alla facilità ma appassionante, intelligente. E gli attori l'hanno recitato bene: Massimo Ghini in particolare dà una delle sue interpretazioni migliori, efficace, misurata, interiore.
Lietta Tornabuoni (La Stampa), 16, Marzo 1997


Critica 3:

Il cinema italiano e la guerra nella ex Iugoslavia. È il primo caso: lo affronta Maurizio Zaccaro, allievo di Olmi, collaboratore di Pupi Avati, sostenuto da un testo cui, insieme con lui, hanno posto mano Marco Bechis, Gigi Riva, Umberto Contarello e Laura Fremdor. Un testo che all’inizio, con abile senso dello spettacolo, sembra proporre solo una partita di caccia organizzata da un gruppo di italiani in una zona boscosa che potrebbe essere la Bosnia. Presto, però, con dei contrattempi: la guida che doveva attenderli non si fa trovare, una sua figlia che si è incaricata di sostituirla è ansiosa e piena di paure; fino a dei colpi di fucile che feriscono uno del gruppo, con una rapida corsa alla volta della città più vicina dove, di colpo, le atmosfere cambiano: folla negli ospedali, si spara dai tetti, carri armati nelle strade, militari di cui non si capiscono le intenzioni, in un disordine, anzi, in un caos sempre crescente. La guerra civile. E in mezzo quegli italiani che non si raccapezzano più, ignari di chi siano gli amici ed i nemici; con quella iugoslava al fianco, anche lei poco chiara non solo nelle intenzioni ma nei sentimenti politici che la guidano e, ormai, con un solo desiderio, quello di scappare da quell’inferno e di portare a casa la pelle. Prima che ci riescano, però, Zaccaro contempla insieme con loro, e da vicino, quella bolgia: seguendo sì i casi dei tre mancati cacciatori e di un giornalista italiano incontrato per caso, ma analizzando – quasi come un documento – tutto quanto si sta verificando attorno; i cecchini, lo stupore di chi non capisce cosa stia succedendo, l’incertezza, sofferta da tutti, sulle parti politiche ed etniche in lotta. Fino ad arrivare ad un ritratto corale di una guerra che ancora non è una guerra in cui gli amici e i nemici si confondono e in cui, a farsi sempre più in primo piano, dopo lo sgomento iniziale, è la paura; anticamera di quegli orrori cui il film accenna soltanto ma che dopo, lo sappiamo tutti, non dovevano tardare ad esplodere. Una rappresentazione secca e risentita (cui nuocciono soltanto, da un punto di vista narrativo, un prologo ed un epilogo di sapore troppo scopertamente letterario), delle immagini torve e bluastre – di Blasco Giurato – tenute rigorosamente nelle cifre più realistiche, con la possibilità di emozionare senza cedere né alla retorica né alla documentazione distante è distaccata. Altrettanto felici gli interpreti, soprattutto Massimo Ghini e Antonio Catania, con tensioni e risentimenti vividi ma dosati. La iugoslava che li accompagna è l’attrice bulgara Paraskeva Djukelova. Il giornalista è Leo Gullotta: con il suo severo impegno, riscatta un po’ il facile espediente del prologo e dell’epilogo.
Gian Luigi Rondi da Il Tempo, 20 marzo 1997


Critica 4:

Allo spunto di partenza di Il carniere, il film di Maurizio Zaccaro ambientato nella Jugoslavia del 1991, si sposerebbe perfettamente il titolo - appena modificato - di un fortunato recente successo, "Bella vita e guerre altrui" (quelle del libro di Alessandro Barbero erano le guerre di Mr Pyle, gentiluomo). Bella la vita dei tre amici che nell'autunno del 1991 corrono su una station wagon nel paesaggio di quella che allora si chiamava la Jugoslavia per andare a fare una partita di caccia in una grande riserva. E peccato che il desiderio di divertimento dei tre (Massimo Ghini sempre più calato nel suo ruolo di Alberto Sordi anni '90, Antonio Catania e Roberto Zibetti) ignori le voci di guerra -le guerre altrui appunto - che già arrivano dal sud del paese. Neanche li inquietano, nella cecità della loro allegria, quelle frecce stradali cancellate - metafora potente e semplicissima di un paese che si sta disgregando e reciprocamente negando. Succede dunque che i tre, un po' per allegria un po' per italica cialtroneria, ignorino il senso di minaccia nell'aria. Non trovano il guardiacaccia all'appuntamento previsto. Ma insistono perché sua figlia li porti nella riserva. E così nelle brume serali, in un paesaggio all'apparenza incantato (che risulta esser la Bulgaria), comincia una partita di caccia in cui anziché i cervi dai boschi sbucano degli umani armati di fucili. Ferito a una gamba, Catania deve essere trasportato al più vicino ospedale: che si trova però in una città dove la piccola sporca misteriosa guerra altrui sta infuriando. E i tre figli del benessere e dell'ordine, che si facevano un vanto della perfetta organizzazione del loro viaggio, si trovano persi nel girone infernale di un albergo senza luce, senza cibo, senza regole e senza apparenti o comprensibili ragioni, in un paese dove avere un nome bosniaco o croato può segnare la differenza tra la vita e la morte, e dove improvvisamente la vita di un uomo (anzi, la morte) vale cinquecento dollari (settecento se è una donna, mille se è un bambino). A raccontare la storia dei tre amici è Leo Gullotta - un giornalista sportivo arrivato in Jugoslavia al seguito di un gruppo di atleti e rimasto bloccato in una città che sembra la sinopia di ciò che sarà poi Sarajevo. Zaccaro, grazie anche alla bella livida fotografia di Blasco Giurato, ricostruisce in maniera molto credibile l'atmosfera di incomprensibile incubo di questa guerra altrui. Emerge invece più scolorito e meno interessante il ritratto dei tre amici, che soffre anche di un problema di casting: quando si immette in un gruppo un attore con la faccia singolare e inquietante di Robert Zibetti non gli si può far fare solo il bravo ragazzo taciturno.
Irene Bignardi La Repubblica


Critica 5:

MAURIZIO ZACCARO, IL CARNIERE

Dove inizia la caccia al cervo inizia quella all’uomo. Non è il remake del “Cacciatore” di Cimino, e neppure un film di guerra classico. “Il carniere” è un film in ricordo, con tanto di voce narrante, di tre cacciatori italiani in ex Jugoslavia, ai tempi in cui noi ancora non sapevamo che sarebbe diventata “ex”. Siamo nell’autunno del ‘91,
Massimo Ghini, Antonio Catania e Roberto Zibetti vanno a caccia, ma trovano la guerra al posto del cervo, e incontrano pure Leo Gullotta, giornalista sportivo col fucile al posto del canestro, e l’intensa Paraskeva Djukelova (ventisettenne attrice bulgara). IL regista è Maurizio Zaccaro (“La valle di Pietra”,
“Cervellini fritti impanati”, “Articolo due”), il produttore Di Clemente, la distribuzione Buena Vista (questo sarà anche il primo film dei dieci italiani che la major porterà nel mondo). “E’ il tentativo di ricostruire l’inizio del conflitto - spiega Umberto Contarello, che con Marco Bechis, Gigi Riva e il regista stesso ha cosceneggiato il film -, perché fu
difficile percepirne le reali dimensioni. Ho ricordi precisi, andando in vacanza in quei posti, di molta gente che conoscevo che continuava ad andare anche dopo lo scoppio delle ostilità. Il senso di questa guerra non lo si è mai capito fino in fondo. E la cosa tremenda è che neppure le vittime riuscivano a capire”.
L’idea nasce da un articolo di Gigi Riva, reporter de “Il Giorno” a Sarajevo per due anni. Ha tenuto una specie di diario di quel periodo, o meglio “schede” di sensazioni, storie, che Zaccaro spera trovino un editore (intanto il giornalista ha già pubblicato “L’Onu è morta a Sarajevo”). Per la subitanea esplosione di violenza da guerra
Zaccaro s’è documentato sui materiali video che le televisioni croate gli hanno fornito. “Quello che si vede nel film è un po’ come quanto accadde a Vukovar, a Goradze, è storia comune, anche se molto dolorosa. Abbiamo girato a Sofia, in Bulgaria, perché non me la sono sentita di andare in una città jugoslava teatro effettivo della tragedia. Altri si sono avvicinati alla cinematografia bulgara (anche “Il principe di Homburg” di
Bellocchio ha set bulgaro, n.d.r.), e non solo per questioni di soldi”. “Il carniere” ha rappresentato pure l’occasione per due dei suoi attori di uscire da binari spesso frequentati. Antonio Catania s’è scrollato di dosso il nume tutelare comico Salvatores, mentre Leo Gullotta ha fatto il giornalista per la prima volta: “è
stato un modo per intraprendere una riflessione umana, sull’individuo. Tra tutti, il mio personaggio è l’unico che guarda con occhio offeso la devastazione cui assiste”. Il 10 marzo Zaccaro inizierà, nello Zimbawe, le riprese di “La missione”, prodotto da Valsecchi per Mediaset, con Michele Placido, Massimo Ghini e Barbara De Rossi. La vicenda di due missioni al confine tra Burundi e Zaire, ma girata altrove “per stare più al sicuro”.
Monica Repetto (Il Tempo)


Note:

REVISIONE MINISTERO FEBBRAIO 1997

DAVID DI DONATELLO 1997 PER MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA (LEO GULLOTTA).



Fonte da: http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=4551
http://it.movies.yahoo.com/i/il-carniere/index-368405.html
http://www.municipio.re.it/cinema/catfilm....58?opendocument


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"LA CLASSE NON E' ACQUA"

Cast: Luigi Petrucci, Edoardo Leo, Roberto Citran, Alessandra Acciai, Stefano Masciarelli, Antonio Catania, Barbara Livi, Valerio Mastandrea
Regia: Cecilia Calvi
Sceneggiatura: Luca Manfredi, Cecilia Calvi
Genere: Commedia
Distribuito da WARNER BROS ITALIA
Anno: 1997


Sinossi

Dopo aver insegnato alcuni anni all'estero, il professor Guido Marinelli torna a Roma e si prepara al suo nuovo incarico. Appena fuori dalla stazione una ragazza lo avvicina trafelata, gli lascia un pacco e scappa. Dentro c'è un bambino che Guido porta all'ospedale ed è affidato ad una giovane dottoressa. Quando arriva a scuola, si accorge che qualcun'altro più gradito ha preso il suo posto, e solo con una protesta davanti al ministero della Pubblica Istruzione riesce a riprendersi il maltolto. Finalmente in classe, Guido comincia un difficile rapporto con gli alunni apatici, disinteressati, turbolenti, e, dalla parte opposta, verifica anche lo stato di demotivazione del corpo insegnante. Mentre affronta i problemi quotidiani del lavoro, Guido si tiene anche al corrente sullo stato di salute del bambino abbandonato, fin quando, da alcuni precisi indizi, non capisce che la madre del bambino è una ragazza della sua classe, Anna. Si adopera allora per cercare di metterla di fronte alle sue responsabilità, e di entrare in contatto anche con la famiglia. Molti problemi sembrano risolversi, perchè Guido acquista a poco a poco la fiducia degli alunni e si innamora, ricambiato, di Martina, la dottoressa dell'ospedale. Anche l'amicizia del collega Claudio, che lo ha ospitato a casa sua, lo aiuta a superare le difficoltà. E, alla fine, Anna accetta di riconoscere il bambino, insieme al ragazzo che ne è il padre e, quando la burocrazia cerca ancora di allontanare Guido dal suo posto a favore di un "raccomandato", tutta la classe si oppone e la situazione non cambia".

Note:

REVISIONE MINISTERO APRILE 1997. SUONO: UGO CELANI.

Notizie
Justin Timberlake: lo zimbello della classe
10:53, 03.05.2007 — Gossipnews

Il cantante è migliorato crescendo...

Geni per caso - vol.4-5-6
18:05, 21.04.2007

Mondo Home Entertainment presenta in DVD “Geni per caso”, la serie tv trasmessa da Rai 3 e da Disney Channel che vede come protagonisti due giovanissimi allievi della Sandy Bay School Toby Johnson e Elisabeth


DA: http://it.movies.yahoo.com/l/la-classe-non...dex-356096.html



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"DI CIELO IN CIELO"

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CAST:

Christopher Buchholz
Lea Gramsdorff
Daniele Ravoni
Simone Santinelli
Angela Baraldi
Giorgio Tirabassi


NON CI SONO NOTIZIE A RIGUARDO

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"IL QUARTO RE"

Paese: Italia - Germania
Regia:Stefano Reali
Principali interpreti: Raoul Bova; Daniel Ceccaldi; Joachim Fuchsberger;
Billy Dee Williams; Anja Kruse; Maria Grazia Cucinotta
Genere: Drammatico
Durata: 90 min.
Lingua: Italiano
Anno: 1998
Interpreta: "Uno dei lebbrosi"


Sinossi

Alazhar, un semplice contadino ed appassionato apicoltore, che si trova coinvolto nel viaggio che i tre Re Magi hanno intrapreso alla volta di Betlemme. E' un viaggio che nasconde insidie, pericoli e trappole, ma che infine si rivelerà essere una meravigliosa scoperta della conoscenza e della vita: Alazhar lascia la sua casa come un ragazzo e vi ritornerà come uomo. Il rapporto con i suoi compagni di viaggio non è facile, i tre Re sanno che non riusciranno mai a raggiungere la meta senza l'aiuto di quel giovane contadino e delle sue api, che miracolosamente si trasformano nella coda della cometa che indicherà loro la strada. Ma il pensiero di Alazhar è sempre rivolto alla sua amatissima moglie Izhira prossima a dare alla luce il loro primogenito. Non sopportando il distacco egli cerca continuamente di riprendere la via del ritorno, costringendo i tre Re a fare ricorso alle loro arti magiche.


Fonte da: http://www.wuz.it/Home/RicercaDVD/SchedaDV...04/Default.aspx


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"ULTIMO"

Cast: Raoul Bova, Ricky Memphis, Paolo Seganti, Giorgio Tirabassi,
Beppe Fiorello, Francesco Benigno, Simone Corrente, Emilio Bonucci, Victor Cavallo, Stefano Abbati
Regia: Stefano Reali
Sceneggiatura: Salvatore Basile, Graziano Diana, Stefano Reali
Data di uscita: 1998
Genere: Azione
Interpreta: "Ombra"


Sinossi

Roberto Di Stefano, nome in codice "Ultimo", giovane capitano dei Carabinieri dotato di un profondo e radicale senso di giustizia, riceve l'incarico di seguire un importante latitante, Niscemi, il commercialista del boss Partanna, a Roma per portare a termine alcune operazioni finanziarie. Ultimo è abituato a lavorare nell'ombra per continuare a essere operativo. Nell'Arma non gode di grandi favori, anche perché i suoi successi attirano l'invidia di alcuni colleghi. Può contare però sulla stima di magistrati e superiori, come il generale Trani. Per formare il suo gruppo operativo, Ultimo sceglie gli "scarti" dell'Arma ragazzi capaci, dotati di uno spiccato atteggiamento di iniziativa, che però, per il loro spirito ribelle e per i metodi non conformisti, sono stati messi ai margini. Con i mezzi più poveri, il gruppo - denominato "Crimor" è composto, oltre a Ultimo, da Solo, Arciere, Ombra, Parsifal, Aspide, Pirata - si mette subito a lavorare duramente. Dopo una serie di pedinamenti, riescono ad arrestare Niscemi, che decide di collaborare con la giustizia. Ultimo e il suo gruppo partono per la Sicilia, dove sono costretti a lavorare in totale clandestinità. Individuano la zona in cui da anni il boss vive nascosto. Mentre la Procura tenta di rimuoverlo dall'incarico, Ultimo in una tumultuosa lotta contro il tempo, preleva Niscemi, uno dei pochi in grado di riconoscere il boss, di cui non esistono fotografie. Quando alla fine il gruppo di Ultimo irrompe nella macchina di Partanna ferma a un semaforo e lo arresta, dalle radio delle auto in servizio parte un messaggio in codice: "Non c'è più nebbia in città".


Note:

- FILM PER LA TELEVISIONE

- SERIE DI 2 PUNTATE DA 90' ANDATE IN ONDA MARTEDI' 17 E GIOVEDI' 19 NOVEMBRE 1998 SU CANALE 5

- DATA DI TRASMISSIONE: 17.11.1998

- ASCOLTO: 9.878


Fonte da: http://it.movies.yahoo.com/u/ultimo/index-183429.html

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"L'ODORE DELLA NOTTE"

Regia: Claudio Caligari
Con: Valerio Mastandrea, Alessia Fugardi, Giorgio Tirabassi, Eva Vanicek, Pino Ferrara, Eolo Capritti, Little Tony, Federico Pacifici, Augusto Poderosi, Marco Giallini, Elda Alvigini, Ginevra Colonna, Giampiero Lisarelli, Marcello Mazzarella, Serena Bonanno, Nicola Siri.
Genere: Poliziesco
Durata: 100 minuti
Produzione: Italia
Anno: 1998
Interpreta: "Altri personaggi"


Sinossi

Le imprese di una banda criminale di giovani di periferia, detta dell'Arancia Meccanica, nella Roma alla fine degli anni '70, mentre tocca il suo acme la lotta armata: l'ex poliziotto Remo (V. Mastandrea) e i suoi amici di borgata fanno la loro guerra privata contro quelli che hanno avuto la vita facile, ma, data l'assenza di strategia e di idee, è una guerra destinata alla ripetizione e a un'inevitabile sconfitta. Dopo Altri uomini (1997), è il 2° tentativo di riprendere, con più alte ambizioni tematiche e stilistiche, il filone poliziottesco e noir degli anni '70. Quindici anni dopo Amore tossico, il piemontese di lago Caligari torna al lungometraggio con un film tratto dal romanzo Le notti di Arancia meccanica di Dido Sacchettoni, ma ancora una volta dimostra che in lui il regista vale più dello sceneggiatore. Sul conto di chi mettere in conto ridondanze, verbosità, stridori, metafore banali, cattiva direzione degli attori? Film sbagliato, ma girato bene. Prodotto dalla Sorpasso Film di Marco Risi e
Maurizio Tedesco.


Critica 1:

Il secondo film di Claudio Caligari, quindici anni dopo Amore tossico, è un jolly per il cinema italiano. L'odore della notte, storia di una banda di rapinatori di borgata, è ispirato, ma alla lontana, al clan dell'Arancia meccanica che, nell'Italia anni 70, derubò, violentò e spaventò i vip. Per raccontare la rivalsa, la lotta al privilegio, la sofferenza. E, nella scena col notabile DC che, pur sequestrato con la famiglia in casa, tra vescovi e foto di Andreotti non rinuncia a offrire un lavoro, ecco il controllo DC sul lavoro". Peccato che Caligari sia stato silenzioso così a lungo: il suo film, prodotto da Risi e Tedesco, è registrato su una sfumatura inedita di grottesco, ha coerenza stilistica e voglia di sparlare. E ha un gruppo di attori bravi e bravissimi, come Valerio Mastandrea che ci confida confusione e dolori: "Il personaggio mi ha dato un senso di libertà con un misto di buffo e tragico. Sono cattivo ma tra le righe, rinunciando alla mia consapevolezza: mica vengo da Stanislavskij. Cosa odio? I compromessi, la fiction tv, il cinema "giovane": perciò mi butto in Rugantino". Attacca Caligari: "Non ho lavorato perché tutti dicevano "sei pazzesco, sei come Bernardo Bertolucci", ma poi non si faceva niente. Ero sgradito al potere del CAF, soprattutto ai socialisti, disturbavo. In quegli anni, se non eri affiliato alla cosca e non ti offrivi di edulcorare o mascherare la realtà, non lavoravi: il dilemma era se fare il soprammobile o usare la coscienza critica. Ora qualcosa è cambiato, il clima è diverso, qualche spazio si è aperto, ma io sono rimasto lo stesso. Però il film non ha avuto divieti e la Rai l'ha comprato per Raidue". Sembrano vicini gli anni 70 con le signore impellicciate e le case pop, ma sono quasi in "costume": "Abbiamo convinto Little Tony, che pure non era stato rapinato, a fare se stesso e a cantare Cuore matto con la pistola puntata". Sempre senza metafore, Marco Risi: "Il cinema italiano da 20 anni non ha più coraggio, si è malato quando è nata la tv commerciale. Hanno distrutto i talenti e i valori, e ora i critici sparano sui nostri e il pubblico plaude: allora?". Il film sconta qualche ripetizione, mette fra parentesi il lato Robin Hood, ma tiene il ritmo morale, attacca un Paese che cadrà nella rete di Tangentopoli, attraccando, alla fine, alla deriva delle crisi esistenziali, sui panorami di borgata, dove già il vivere è una droga. "Ma a me - dice il regista - interessava la valenza simbolica, sono un po' Lumière e un po' Méliès, realista e fantastico. Ora progetto una storia di 'ndrangheta che si svolge a Milano e hinterland, tipo Quei bravi ragazzi di Scorsese. Anche qui un bello spaccato italiano, costruito sulle parole di un pentito".

Maurizio Porro (Il Corriere della Sera), 10 settembre 1998


Critica 2:

È un film controcorrente L'odore della notte di Claudio Caligari: sia rispetto al nostro cinema in generale, sia più in particolare, rispetto al genere in cui si inscrive. Il soggetto è ispirato a episodi che occuparono le cronache tra la fine degli anni Settanta e l'inizio del decennio successivo; allorché una gang delle borgate romane tentò di scalare il cielo dei ricchi compiendo rapine sanguinose ai danni della grossa borghesia. Guidati da Remo Guerra (Valerio Mastandrea), poliziotto dalla doppia vita, i rapinatori compiono una escalation che dapprima sembrava favorita dalla fortuna poi, via via, li porta a mirare troppo in alto. Ai palazzi del potere politico, dove circolano valigie gonfie di mazzette e i piccoli delinquenti si bruciano le ali. L'odore della notte è un film per buona parte riuscito, ma necessita di qualche istruzione per l'uso. Se non si coglie subito la coloritura ironica che Caligari ha voluto dare all'intera vicenda (a partire dalla voce narrante di Remo, che parla un linguaggio retorico con tutta l'enfasi dell'incolto), si può restarne spiazzati. Poi, che il regista italiano abbia voluto fare il contrario di un noir d'azione secondo le regole appare evidente: soprattutto nell'episodio in cui Little Tony fa un cammeo come vittima di una rapina, ed è costretto a cantare Cuore matto, sotto la minaccia della pistola, o in quello dove Francesca d'Aloja impietosisce i feroci banditi. A tutto questo si aggiunga il filo rosso meta-cinematografico che traversa il film, citando il primo western della storia del cinema o Martin Scorsese, usando mezzi stranianti come il fermo-fotogramma e lo split-screen, lo schermo diviso alla De Palma, o giocando lucidamente con i codici del genere. Un po' diluito e ripetitivo nella seconda parte, il film di Caligari è più insolito e coraggioso di quanto si potesse aspettare. E Mastandrea, che in chiusura spara al pubblico come il pistolero della Grande rapina al treno di Porter, interpreta bene l'anarchismo e le vaghe motivazioni politiche del suo eroe negativo.

Roberto Nepoti da La Repubblica, 10 settembre 1998


Critica 3:

Per un giorno, due buoni film italiani alla Mostra del cinema di Venezia, ma fuori concorso. Il più spettacolare e comico, benché sia un giallo, è L'odore della notte di Claudio Caligari, storia della "banda dell'Arancia meccanica", terrore di Roma fra il 1979 e il 1983. Il capo (Valerio Mastandrea) - che ruba per rimediare alle ingiustizie di cui si sente vittima - si spiega con la voce fuori campo in un linguaggio del sociologo dilettante che è uno spettacolo nello spettacolo.

Maurizio Cabona (Il Giornale), 10 settembre 1998


Critica 4:

L'odore della notte ricostruisce - ispirandosi a un romanzo-verità di Dido Sacchettoni, che Pironti sta per rieditare - le gesta di quella che, aII'inizio degli anni 80, fu celebre a Roma come "la banda dell'Arancia meccanica"; malviventi che irrompevano nelle case dei ricchi, malmenavano e terrorizzavano- i presenti e fuggivano con ricchi bottini. Remo Guerra, nome di fantasia del capobanda dell'"Arancia meccanica", è un figlio della borgata romana. Nel 1979, quando comincia la sua storia, le borgate non sono più quelle di Pasolini: droga e violenza regnano, e Remo è un giovane poliziotto che ne ha viste troppe per credere nei sogni. Il suo slogan è "un po' di roba per me": insieme con due amici, Maurizio e "il Rozzo", si dà alle rapine. Ripercorrendo il citato libro di Sacchettoni, scritto dopo che la banda fu sgominata nel 1983, Caligari fa narrare a Remo stesso la sua storia, creando un singolare contrasto fra il romanesco trucido e borgataro dei dialoghi e una voce fuori campo introspettiva, letteraria, spiazzante. Caligari non faceva film dal notevole Amore tossico, del 1983: anche in questa opera, seconda giunta con troppo ritardo (grazie alla testardaggine sua, e dei produttori Marco Risi e Maurizio Tedesco) il regista parte dalla realtà ma va al di là del naturalismo, dando al film una potenza simbolica magari discontinua ma estremamente forte. Valerio Mastandrea fa sforzi sovrumani per essere più trucido che caruccio, e ci riesce; bravi, accanto a lui, anche i "complici" Marco Giallini, Giorgio Tirabassi e Emanuel Bevilacqua. Strepitosa (e salutata da applausi in Sala Grande) una comparsata di Little Tony, che fa se stesso nei panni di uno dei rapinati. Con la pistola puntata alla testa, è costretto a cantare Cuore matto; lui esegue, ma maluccio, e la battuta di Maurizio è da culto: "A' Toni, mò che fai? Me stoni?"

Alberto Crespi da L'Unità, 10 settembre 1998


Fonte da: http://www.mymovies.it/dizionario/recensioni.asp?id=16828

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"L'ULTIMO CAPODANNO"

Regia: Marco Risi.
Con: Antonella Steni, Alessandro Haber, Monica Bellucci, Piero Natoli, Marco Giallini, Maria Monti, Francesca D’Aloja, Marco Patanè, Claudio Santamaria, Angela Finocchiaro
Genere: Grottesco
Durata: 100 minuti
Produzione: Italia
Durata: 1998
Interpreta: "Augusto"


Sinossi

L'azione si svolge la sera di un 31 dicembre a Roma, frammentata in sei appartamenti di due moderne palazzine. Convengono parenti e amici invitati, ma anche un trio di ladri e una comitiva di smandrappati e trucidi burini. È una commedia corale ad alto costo (con ricorso a effetti speciali, persino digitali) sotto il segno di una ridondanza cannibalesca non sempre controllata, connotata in chiave di un grottesco esasperato che tracima in farsa apocalittica. Da un racconto lungo di Niccolò Ammaniti che ha collaborato alla sceneggiatura. Poco in sintonia col “buonismo” imperante alla Pieraccioni, fu ritirato dopo pochi giorni dal regista-produttore in attesa di una 2ª uscita.


Critica 1:

Nella festa di Capodanno di Marco Risi in un complesso d'abitazioni per benestanti a Roma, i romani senza più classi sociali, spesso volgari e rapaci, celebrano il passaggio dell'anno e passano dall'allegria d'occasione alla ferocia surreale. Mentre sullo schermo televisivo strilla euforico il presentatore Riccardo Rossi, Iva Zanicchi frigge il pesce in portineria, Ludovica Modugno si appresta al suicidio, l'avvocato Alessandro Haber s'abbandona all'eros sadomaso, Monica Bellucci piange perché l'amante le preferisce Francesca D'Aloja, due ragazzi fumati vaneggiano, tre ladri trucidi (incluso Ricky Memphis) aspettano il loro momento, la vecchia contessa alcolica Maria Monti fa l'amore con un gigolò napoletano. Champagne, salmone, lenticchie, capitone. Per veloci stadi successivi, nei diversi appartamenti il cenone si trasforma in mattatoio, i protagonisti svelano la naturalezza delle proprie pulsioni di morte e alla fine tutto esplode nel nulla, salta in aria. Nel corso del tempo la intensa semplicità classica di Clint Eastwood a volte si perde in convenzionalità e distrazione: in Mezzanotte nel giardino del bene e del male il protagonista Kevin Spacey risulta frenato sino all'inespressività e gli altri interpreti (inclusa la figlia di Eastwood, Alison) sono appena stereotipi o macchiette. Nel corso del tempo, Marco Risi s'é stufato di se stesso e cerca vie nuove, ne L'ultimo Capodanno tenta d'andare oltre il realismo: ma, se gli attori sono ben diretti, il regista per il grottesco non ha ancora la mano e ci va squadrato, pesante.

Lietta Tornabuoni da La Stampa, 7 Marzo 1998


UN PICCOLO PEZZETTO DI VIDEO TRATTO DA L'ULTIMO CAPODANNO





Fonte da: http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=26285

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"LA CENA"

Regia: Ettore Scola
Con: Vittorio Gassman, Giancarlo Giannini, Stefania Sandrelli, Fanny Ardant, Eros Pagni,
Daniela Poggi, Antonio Catania, Adalberto Maria Merli, Francesca D’Aloja, Francesco Siciliano,
Nello Mascia, Riccardo Garrone, Venantino Venantini, Gordana Miletic, Giorgio Tirabassi,
Adriana Innocenti, Corrado Olmi, Stefano Antonucci, Eleonora Danco, Rolando Ravello, Marie Gillain,
Andrea Cambi, Giorgio Colangeli, Nadia Carlomagno, Giuseppe Gandini.
Genere: Commedia
Durata: 127 minuti
Produzione: Italia
Anno: 1998
Interpreta: "Francesco"


Sinossi

Al ristorante romano “Arturo al Portico”, nell'arco di una serata, si inanellano sotto l'occhio attento di Flora (F. Ardant), moglie del titolare, 14 situazioni ai tavoli e in cucina con una quarantina di personaggi di età diversa della media borghesia italiana. Rimangono in disparte una famigliola di turisti giapponesi e, in anticamera, un gruppo di allegri adolescenti che festeggiano il compleanno della nipote di Flora. Scritto dal regista (1931) con la figlia Silvia, Furio Scarpelli e il figlio Giacomo, il film si attiene a una totale unità di tempo, luogo e azione con un'impennata magica nel finale. La tematica è quella consueta di E. Scola, con un retrogusto più amaro e desolato che esprime il disagio, lo sconcerto, forse l'impotenza del regista e dei suoi sceneggiatori “a disegnare le coordinate di un paesaggio sociale e politico divenuto estraneo e irriconoscibile” (Roberto Chiesi). Fa da spia l'imbarazzata conclusione. Il tentativo di conciliare gli intenti simbolici e teorici della struttura con l'apparente realismo (qui ridotto a minimalismo narrativo con scarti di macchiettismo) della situazione risulta risolto soltanto in parte.


Critica 1:

C'è a Roma uno storico ristorante che si chiama Otello alla Concordia, luogo di incontri, di amicizie, di tirar tardi, di chiacchiere, molto frequentato dal mondo del cinema romano, ed evidente modello di Arturo al Portico, il ristorante - quattordici tavoli, molti habitués, una padrona molto carina, cordiale e signora (è Fanny Ardant, con un segreto turbamento amoroso) - che è il palcoscenico del nuovo film di Ettore Scola, La cena: ancora una volta (e dopo molti anni) un film corale e volutamente claustrofobico, ma a differenza di La famiglia, di Ballando ballando, di La terrazza, tutto concentrato in una sorta di tempo reale, le due ore e sei minuti che dura il tipicamente italiano rito dello slow food in trattoria. Ettore Scola ha detto che il suo film rilancia il rito della conversazione - e che l'unico momento in cui questo rito può esprimersi è proprio a tavola, ma fuori casa, lontano dall'ossessivamente invadente convitato elettronico. In realtà la conversazione - o le conversazioni - di La cena, scritte da due generazioni di sceneggiatori a confronto (Ettore Scola e sua figlia Silvia, Fulvio Scarpelli e suo figlio Giacomo) sono, in chiave ironica, dialoghi tra sordi, che appartengono di diritto (anche se non per la forma) all'italica tradizione cinematografica dell'incomunicabilità. Non ascolta quello che ha da dirle sua figlia Lea Gransdorff (e sì che si tratta di cose importanti) la superficiale e siliconata madre a cui Stefania Sandrelli presta con coraggio e autoironia la sua matura bellezza. Non si ascoltano e non si capiscono il padre distratto, la figlia che avrebbe tanto voluto qualche volta sentirsi dire di no e il fratello ex tossico (Sergio Nicolai, Francesca D'Aloja e Giorgio Tirabassi). Non si intendono proprio Francesco Siciliano e la fidanzata Eleonora Danco, che gli comunica di essere incinta mentre lui adocchia Daniela Poggi - e il loro dialogo sembra riprendere sempre allo stesso punto morto. E attorno a loro ecco Vittorio Gassman, vecchio pensionato colto e acidulo, Adalberto Maria Merli che propone a Nello Mascia la messinscena di un dialogo ispirato a Dostoevskij in cui l'amico non dovrebbe mai aprire bocca, il filosofo Giancarlo Giannini che la giovane allieva e amante Marie Gillain vorrebbe costringere a dir tutto alla moglie, una famigliola giapponese che fotografa freneticamente, il malinconico ragioniere con parrucchino (Rolando Ravello) felice di poter parlare con il "mago" Antonio Catania, i bravi borghesi che in un concerto di cellulari parlano di tasse (e al cellulare concertano adulteri), le brave signore alla vigilia della pensione, i camerieri, il cuoco veterocomunista, incazzato e polemico a cui Eros Pagni presta tutta la sua grinta, i ragazzini con l'aria così coatta ma in fondo tanto tanto buoni... E' un peccato che in un insieme fluido e intelligente, in cui Scola ritrova il suo stile migliore, riaffiorino le tentazioni della vecchia commedia degli eccessi e della caricatura, per esempio nel "tavolo" della bella Nadia Carlomagno, che ha dato appuntamento al ristorante, contemporaneamente, a tutti i suoi amanti e introduce uno stridente stile da pochade. E peccato anche che i collegamenti tra tavolata e tavolata non siano più agili e nervosi, anzi, che lascino a volte la sensazione di ritrovarci sempre allo stesso punto di una situazione che non si muove. Peccato perché il quadro sociologico forse è un po' troppo romano ma vivido, gli interpreti bravi quando non eccellenti (basti per tutti l'ottimo Tirabassi), la fotografia di Franco Di Giacomo molto bella ed è brillante la cornice narrativa (riassunta dal lungo piano sequenza in cui l'intero ristorante si ferma al suono del concerto per arpa e flauto di Mozart) che porta la forma-pranzo a degli estremi ancora intentati nonostante l'ormai fitta tradizione di film conviviali. La sensazione che lascia La cena è così, da una parte, il disappunto di fronte a un bel film imperfetto cui avrebbe giovato un lavoro di lima - dall'altra il piacere di un cinema altamente professionale, colto, spesso acuto, che disegna con humour e intelligenza il ritratto dell'italiano medioborghese di oggi. Ma dietro la vivacità e i momenti di commedia, La cena è soprattutto un film amarognolo, quasi una resa: Scola si nasconde dietro Gassman, questa umanità che non si parla e non si ascolta non gli piace proprio, nessuno esce migliore o cambiato da Arturo al Portico. Se non, forse, il bambino giapponese che vede ciò che gli altri, troppo occupati a parlare senza ascoltare, non vedono.

Irene Bignardi da La Repubblica, 27 novembre 1998


Critica 2:

Metti una sera a cena Ettore Scola, invita Aristotele con le sue tre unità: luogo (il ristorante Arturo Al Portico), tempo (5 ore, dalle 19 alle 24, condensate in 121 minuti) e azione (14 tavoli di persone che mangiano). Si chiacchiera molto, ma quasi mai di politica (ed è un po' strano per un regista ex-ministro ombra del Pci) e nemmeno di gastronomia (a differenza dei commensali di «Il pranzo di Babette» e «Big Night» questi non badano gran che a ciò che gli arriva nei piatti). Tra clienti, cuochi e camerieri, la campionatura umana è variatissima. L'inquieta padrona Fanny Ardant è una bella donna smaniosa di evasioni, il cliente fisso Vittorio Gassman è il genius loci impiccione, lo chef Eros Pagni rimpiange istericamente la scomparsa dei valori in cucina e, altrove, il capocameriere Riccardo Garrone si arrocca sul buonsenso, la bella tardona Stefania Sandrelli non regge alla notizia che la figlia si farà suora, il filosofo Giancarlo Giannini vive male un amorazzo con l'allieva Marie Gillain, l'attore Adalberto Merli farnetica di incarnare il Grande Inquisitore dostoevskiano, la vampira Nadia Carlomagno ha il suo da fare a gestire tutti i suoi spasimanti, l'impiegatino Rolando Ravello tenta di uscire dalla frustrazione affidandosi al (finto?) mago Antonio Catania. La chiave di questo film ardito, spesso ispirato ad onta dell'interesse altalenante degli spunti narrativi, sta nella scena in cui i personaggi cedono all'incanto del Concerto per arpa e flauto KV 299, vertiginosa citazione mozartiana nel geniale commento di Armando Trovajoli. È come se Scola, al colmo delle chiacchiere colte a volo, del trillare dei telefonini, di tante commedie e drammi intravisti di scorcio, delle antipatie o simpatie, proponesse un'assoluzione generale proprio da Giubileo, invitandoci ad intraprendere senza bagagli e con un po' di fantasia il sentiero del XXI secolo. Nel plauso che abbraccia clienti e tavoleggianti, un omaggio particolare va rivolto ad una stupenda, intensa, incredibile Sandrelli da premio. In gran giornata anche Gassman, la Ardant, Garrone, la francesina Gillain e Giannini, un po' smontato da una tirata nevrotico-intellettualistica.

Tullio Kezich da Il Corriere della Sera, 28 novembre 1998


Critica 3:

Adesso, a sessantasette anni, Ettore Scola contempla il mondo e gli altri con uno sguardo malinconico falsamente indulgente, è attento alle persone più che alle idee o alle ideologie risultate nel tempo così deludenti: questo sguardo è l'essenza de "La cena", campionario d'italiani a tavola, antologia di vizi e virtù dei nuovi mostri nazionali analizzati durante una serata in trattoria. A un tavolo si vede che tra destra e sinistra non c'è ormai una gran differenza: i due negozianti d'opposte idee politiche sono uguali nell'avidità di soldi, nel non pagare le tasse, nella dedizione al commercio ("l'abbigliamento dev'essere per forza democratico"). (...) Fanny Ardant è la provvida, affettuosa padrona della trattoria; Vittorio Gassman è l'anziano cliente abituale; Eros Pagni, bravissimo, è il cuoco comunista che rievoca con furente nostalgia il passato e che odia con furente disprezzo il presente. Salvo quest'ultimo personaggio, "La cena" sembra concentrare una sorta di sfinita mediocrità italiana, gente atona senza passioni, senza alcuna grandezza, senza orrore di se stessa. Non succede molto, nella trattoria simile ad altri luoghi chiusi dei film corali di Scola (la sala circolare di "Ballando ballando", l'oscuro appartamento de "La famiglia", il superattico de "La terrazza"), ai tavoli simili a quelli di tanti altri film centrati su un pranzo ("Festen", "Camerieri", "Il pranzo di Babette"). Soltanto, a un certo punto tutti restano incantati da una musica alta e dolce d'arpa e di flauto: ma è un attimo, subito si riprende a sforchettare

Lietta Tornabuoni da La Stampa, 1 dicembre 1998


Critica 4:

Indovina chi viene a cena, nel ristorante romano da “Arturo al Portico”: un locale non tanto grande (poco più di una decina di tavoli), ben frequentato, con uno chef (Eros Pagni) bravo e perennemente arrabbiato con tutto e tutti, mentre l’ancor bella proprietaria (Fanny Ardant), seduta alla cassa, si assicura che le cose, come sempre del resto, vadano per il meglio. Indovina chi viene, a La cena di Ettore Scola: seduti nella trattoria di Arturo ci sono i rappresentanti dell’Italia di fine secolo, accarezzati con sguardo il più delle volte bonario da un autore che molto spesso, nella sua lunga carriera sia di regista che di sceneggiatore, ha amato le storie corali. Strettissime unità di luogo, di tempo, di azione. L’arrivo alla spicciolata dei clienti, occasionali e abitudinari (attori bravissimi: Giancarlo Giannini, Stefania Sandrelli, Adalberto Maria Merli, ma meriterebbero di essere citati tutti...), i preparativi e le baruffe in cucina, la presentazione dei vari tipi che, fra un piatto e l’altro, si scambiano chiacchiere, sorrisi, sguardi, complimenti e insulti. È sempre una scommessa molto difficile filmare quasi in “tempo reale”, ricostruendo con gli artifici del linguaggio cinematografico la sensazione del fluire normale degli avvenimenti narrati. Scola affronta e vince la scommessa senza sbavature, riuscendo a non fare sentire le “giunture”, passando lieve da un tavolo all’altro, dal tono scherzoso a quello drammatico, dal trasalimento amoroso all’amarezza malinconica di chi si limita a mangiare riso in bianco e a osservare. Già, osservare, proprio come fa il regista: il suo “occhio interno” al film è quello dell’anziano Maestro, interpretato da un Vittorio Gassman all’altezza delle prove migliori. Disincantato, eppure partecipe di ciò che lo circonda; stanco, ma non tanto da non sentire che la vita degli altri continua, e che c’è sempre qualcosa per cui vale la pena di continuare a restare in ascolto.

Luigi Paini da Il Sole 24 Ore, Domenica 06 Dicembre 1998


Critica 5:

Gli italiani non sono poi tanto male. Prendiamone un po’ - belli e brutti, giovani e vecchi, ricchi e meno ricchi -, e mettiamoli davanti alla macchina da presa, seduti in trattoria. Poi, fra un piatto e l’altro, lasciamoli parlare. Forse ne verrà un film. Questo deve essersi detto Ettore Scola, e con lui gli sceneggiatori Furio Scarpelli, Giacomo Scarpelli e Silvia Scola. E questo insieme hanno ottenuto: un buon film, oltre che un’immagine decorosa degli italiani. Personaggi, maschere, tipi? I protagonisti di La cena (Italia, 1998) non sono personaggi veri e propri. Per esserlo, manca loro una “specificità” psicologica profonda e interiore. Non che il Maestro, il Professore, il Cuoco, l’Impiegato e così via non rimandino davvero a maestri, professori, cuochi e impiegati. Al contrario, ne riassumono le caratteristiche generali, ne sono modelli, calchi. Ed è proprio questo il motivo per cui non sono personaggi. D’altra parte, non sono nemmeno maschere: la sceneggiatura e la regìa hanno cura di mantenerne quanto più possibile la riconoscibilità realistica. Alla fine, sono tipi: il Maestro, appunto, il Professore, il Cuoco, l’Impiegato. È questo lo “spazio” proprio di La cena: gli italiani e le italiane che Scola ci racconta sono il risultato d’un sovrapporsi di tratti, manie, idee, virtù e difetti generali e generici. Questo, naturalmente, è anche il suo limite. La sceneggiatura non va e probabilmente nemmeno vuole andare oltre il piacere di raccontare noi stessi a noi stessi, come se davvero fossimo riducibili a tratti, manie, idee, virtù e difetti generali e generici. Così, escludendo i grandi autori, è per lo più accaduto nei nostri film, anche durante l’epoca d’oro del cinema popolare: gli anni 50. I nostri registi e sceneggiatori sono (erano) poco interessati a raccontare individui e molto più a proporre tipologie, stereotipi collettivi, “specchi” in cui ognuno in sala non faccia (facesse) fatica a riconoscere forse non direttamente se stesso ma certo il suo vicino di poltrona. In questa tradizione - che ha avuto un tempo lontano momenti alti e poi, sempre più spesso, momenti bassi e infimi - si colloca dunque La cena. Non si chieda troppo a Scola e ai suoi collaboratori: si rischierebbe di restare delusi. Ci si lasci andare, invece, alla loro vena narrativa, sempre piacevole e qua e là anche felice. Si prendano per buoni i loro Maestri, Professori, Cuochi, Impiegati. Potrà persino capitare di riassaporare, almeno in parte, il gusto perduto del cinema popolare scritto e recitato “all’antica italiana”.
Il film lo è davvero, scritto e recitato. Così ci si sorprende a pensare, soddisfatti, in platea. La storia si sviluppa senza incongruenze e senza ridicolaggini televisive. I dialoghi non conoscono volgarità, né lessicali né intellettuali. D’altra parte, a garantire fluidità e stile c’è un grande narratore cinematografico come Furio Scarpelli. Quanto alla recitazione, non c’è neppure uno degli pseudoattori e delle pseudoattrici che intristiscono i nostri schermi, piccoli e grandi, con una mancanza d’attitudine e di mestiere pari solo alla presunzione. Si ritrova invece il piacere di vedere e ascoltare Vittorio Gassman, che è grande persino quando gigioneggia. Ci si conferma poi nell’opinione che Giancarlo Giannini valga almeno quanto gli attori di Hollywood cui dà la voce. Bravi, professionali e ben diretti sono Stefania Sandrelli, Adalberto Merli, Antonio Catania, Riccardo Garrone e tanti altri. E poi, appunto, nemmeno gli italiani tipici di La cena sono tanto male. Senza fatica, sullo schermo riconosciamo molti di quelli che, per così dire, ci siedono accanto. Ci sono gli evasori fiscali che teorizzano il loro buon diritto, l’intellettuale di gran successo e di sorprendente povertà umana, le mogli che tradiscono i mariti e i mariti che tradiscono le mogli, i padri di famiglia alle prese con i figli tossici, le donne di successo che afferrano gli uomini là dove fa più male, le madri baldracche e le figlie mistiche, gli snob che familiarizzano con i popolani, i popolani che familiarizzano con gli snob, i gabbamondo che gabbano il mondo, ma forse, chissà... Alla fine, a vederli così, tutti insieme in trattoria, si direbbero buona gente. Può anche darsi che si tratti d’una illusione ottica, d’un abbaglio che prendiamo per colpa (o per merito) degli stereotipi e degli specchi orchestrati da Scola. Noi, per quel che ci riguarda e presi uno per uno, siamo certi d’essere tutt’altro, ovviamente. Non ci riteniamo, noi, tipi un po’ comici e un po’ vili, un po’ generosi e un po’ ruffiani, come tutti gli altri che sono in platea. In ogni caso e già che siamo qui, conviene goderselo, questo sentore di cinema popolare all’antica italiana. Non sarà tutto quello che è lecito sognare, ma è molto di più di quello che è prudente temere.

Roberto Escobar da Il Sole 24 Ore, Domenica 6 Dicembre 1998


Critica 6:

«Maestro, la sua pera... ed è subito sera». Potete immaginare la faccia di Gassman, nei panni del colto e pensionato maestro Pezzullo, quando il cameriere con ambizioni da poeta gli porge il frutto parafrasando Quasimodo. Vestito liso con panciotto, barba da saggio ed eloquio da vecchio signore (dice «gualdrappa»), l'aggraziato Pezzullo sembra incarnare lo «sguardo» di Scola su quel pezzo di Italia che si ritrova a cena da «Arturo al Portico», nome di fantasia nel quale è facile riconoscere il vero "Otello alla Concordia". Un'Italia né ricca né povera, moderatamente ottimista, neanche troppo squallida, colta - come scrivono gli autori - «nel momento più disteso della loro giornata, quando rivelano più facilmente loro stessi ed esprimono vizi e virtù, confessano pene, desideri e umori». Il tema della cena, da Il pranzo di Babette al recente Big Night, non è una novità al cinema, ma Scola vi porta dentro quel suo gusto per la struttura corale, per l'osservazione sociologica riscaldata dal palpito romanzesco di sapore cechoviano. Già in un colorito episodio dei Nuovi mostri, il ristorante, anzi l'«hostaria», si trasformava nell'arena di una sfida all'ultimo polipo in faccia; qui però il tono è meno farsesco, più agrodolce, decisamente senile, anche quando sono di scena i giovani. Su quei quattordici tavoli, colti nell'immediatezza di discorsi ora sciocchi ora dolenti, di grandi bugie e piccole verità, si distende una «matassa umana» nella quale ogni spettatore non faticherà a riconoscere qualcosa di sé. (...) Nell'arco di quasi due ore, trascorrendo da un tavolo all'altro di questa «trattoria-Italia» calda e protetta che ricorda la balera di Ballando ballando, Scola impagina alla sua maniera una Commedia Umana che un po' diverte, un po' commuove e un po' annoia. Perché non tutti gli episodi sono felici, specie il duetto col mago Adam, inerte e tirato per le lunghe, anche se nel finale magico affidato allo sguardo del bambino orientale (l'unico in grado di captare «cose mai viste») l'omaggio a Miracolo a Milano - o a Spielberg? - trova una sua garbata conclusione. Ma nel complesso La cena é un buon ritorno: a tre anni dal brutto Romanzo di un giovane povero, il regista di Trevico s'è ricongiunto allo sceneggiatore Furio Scarpelli, che firma il copione col figlio Giacomo e con Silvia Scola, e il sodalizio giova al film, specie nella messa a punto dei dialoghi e delle situazioni divertenti. Tra ossessioni dietetiche e sfondoni verbali, sfuriate da filosofo (bello il "numeso misogino" di Giannini conquistato dal Mercato) e battute carine ("tra il lusco e il rinco"). La cena invita il pubblico a gurdarsi allo specchio, senza indulgenza ma con un occhio alla disarmante complessità dell'esistenza. Quella stessa che fa dire a Gassman in sottofinale: "Un po' stronzi lo siamo tutti".

Michele Anselmi da L'Unità, 25 novembre 1998


Critica 7:

Allegorie. Seduti nello stesso ristorante, alcuni mostri, alquanto sacri, del nostro cinema (Gassman & Co.) insieme a giovani figuranti cercano di rappresentare fra l'antipasto e il dolce il vano ripetersi dei giorni in tempi egoisti e privi di utopie. Con La cena, Ettore Scola torna al racconto simbolico, chiuso nel tempo e nello spazio, che gli è caro. Il film, neanche brutto, è però inerte, velleitario, attraversato da un certo moralismo senile. Fra i tavoli del convivio alla «vecchia Roma», la malinconia si è invitata da sé. «Da evitare» con rispetto, come atto d'amore per la commedia che fu.

Claudio Carabba da Sette, 10 dicembre 1998


Critica 8:

Una delle tante piccole leggende sulla Cinecittà degli anni cinquanta vuole che i produttori suggerissero ai registi, per rimpolpare momenti vuoti di film più o meno d'ordinanza, «aggiungi una scena dove si mangia, che tanto alla gente piace sempre». Leggenda ragionevole e più che credibile, se consideriamo il gran campionario di pranzi, cene, pizze e scampagnate della commedia all'italiana, a cominciare; inevitabilmente dai maccheroni provocatori del Nando Moriconi americano a Roma. A quel cinema certo vitale e glorioso, a tratti rimpianto anche oltremisura, Ettore Scola guarda da sempre, perché lì è nato e da lì ha imparato; da quel cinema porta con sé una penna acida e illustre come quella di Furio Scarpelli, sceneggiatore di La cena insieme allo stesso Scola e ai rispettivi figli, Giacomo e Silvia. Ma rispetto a quell'antico suggerimento, quel che viene da dire è che, semplicemente, ha esagerato: è come se un riempitivo di tradizione, uno snodo narrativo, un luogo simbolico fosse stato amplificato fino a diventare la ragion d'essere d'un film che proprio la sua ragion d'essere stentava a trovare. Nella traiettoria governata con grazia incantevole e del tutto irreale da Fanny Ardant dovrebbe comporsi, forse, l'immagine plurima dell'Italia di oggi. (...) Nonostante l'unità di tempo e di luogo, nonostante le panoramiche che scivolano di tavolo in tavolo e il costante brusio e acciottolio dello sfondo, nonostante persino il momento simbolico in cui tutti zittiscono e ascoltano assorti il Mozart suonato da un'arpista, la legatura degli elementi riesce poco, e troppi frammenti di questa cena romana rischiano lo scivolone dall'ovvio alla barzelletta. Mentre nessuno si cura di ciò che mangia (ciascuno forse troppo preso dal proprio dovere metaforico) Gassman, molto divertito, molto grande vecchio attore, ha il ruolo di commentatore e un poco di burattinaio; il migliore in campo è però Eros Pagni, cuoco che in un sottotono ironico e scorato ripercorre tra timballi e carbonare la stoffa della sinistra italiana. In un omaggio zavattiniano, un bambino miope e giapponese guarda il cielo e vede due bislacchi che volano a cavallo d'una scopa, ma li vede come fossero immagini d'un videogioco: anche qui si rischiava il moralismo, invece, miracolo a Roma?, è una trovata poetica.

Paola Cristalli da Il Resto del Carlino, 30 novembre 1998


Critica 9:

Ci sono due tipi di grandi registi, come nei vini. Quelli che arrivano in poco tempo alla maturità e poi cedono comprensibilmente (Rosi e Risi , e quelli che continuano a maturare e rafforzarsi con l'invecchiamento (Olmi). Scola ha già avuto il suo momento. Organizzato stilisticamente e drammaturgicamente come un aggiornamento della "Terrazza", di corale esuberanza, ma ambientato nelle due ore di cena in una trattoria romana, questo 27esimo lungometraggio vorrebbe essere la radiografia della società italiana di oggi, cinica e individualista, ma collegiale quando occorre difendere interessi di casa. La sceneggiatura, scritta da padri e figli (gli Scarpelli e gli Scola) si muove come una freccia impazzita centrando quasi soltanto macchiette e non i personaggi. Gassman e Ardant da vedere.

Silvio Danese (Quotidiano.net) Da Il Giorno, 28 novembre 1998



Fonte da: http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=4953

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"ULTIMO 2 LA SFIDA"

Regia: Michele Soavi
Scritto da: Pino Corrias, Nicola Lusuardi, Renato Pezzini, Paolo Rossi, Michele Soavi
Interpreti: Raoul Bova, Ricky Memphis, Giorgio Tirabassi, Francesco Benigno, Simone Corrente, Taiyo Yamanouchi, Silvia De Santis, Rolando Ravello, Paolo Maria Scalondro, Fabio Camilli, Max Mazzotta, Gea Lionello, Daniela Morozzi, Giovanni Mauriello, Paolo De Giorgio
Nazionalità Italia
Anno: 1999
Genere: Azione
Censura: Per tutti
Durata: 180' circa
Interpreta: "Ombra"


Sinossi

E' notte e in un ristorante ha luogo una singolare riunione: dieci uomini si incontrano per parlare di una grossa partita di eroina. I commensali non sanno che in strada è appostato un furgone operativo attrazzato come base mobile, con a bordo Ultimo (Raoul Bova), Ombra (Tirabassi) e Solo (Memphis). Improvvisamente due uomini irrompono nel ristorante e fanno strage dei malviventi senza che Ultimo e i suoi, bloccati nel loro furgone, possano intervenire.
Un caso complicato e solo trenta giorni a disposizione per risolverlo. Per i nostri eroi, un'appassionante lotta contro il tempo piena di colpi di scena.


Fonte da: http://www.dvdweb.it/index.mv?1164528401_4..._DVD+748238265U

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"PAZ!"

Regia: Renato De Maria
Con: Flavio Pistilli, Claudio Santamaria, Max Mazzotta, Fabrizia Sacchi, Paolo Briguglia, Vittoria Puccini
Genere Commedia drammatica,
Durata: 102 minuti
Produzione: Italia
Anno: 2002
Interpreta: "Freak"


Sinossi

Nel giro di ventiquattr'ore balorde, l'azione fa capo a tre giovani che convivono nello stesso appartamento senza incontrarsi mai, esponenti di tre mondi diversi e paralleli: l'abulico Pentothal (C. Santamaria), il crudele Zanardi detto Zanna (F. Pistilli), il nomade Enrico Fiabeschi (M. Mazzotta, forse il più riuscito). Si punta a far rivivere il '77 e dintorni, il “movimento” (non senza sarcasmo nell'affetto), quel microcosmo giovanile di “straccioni con la fierezza dei perdenti” dove si mescolavano politica, ribellione, avanguardia, autodistruzione, arte e vita. Lo fa senza puntigli né pretese di ricostruzione storica: “Ho sempre sentito Paz! come un film di fantascienza proiettato indifferentemente nel futuro e nel passato.” (R. De Maria). Importante la colonna sonora di Riccardo Sinigaglia (con Gino Castaldo responsabile del design sonoro) che comprende gruppi bolognesi di quegli anni (Gas Nevada, Skiantos, Stupid Set) e autori di oggi. Un film imperfetto? Sicuramente. Ma resterà come caldo omaggio a Paz che usava la matita come Jimi Hendrix la chitarra.


Critica 1:

Bologna la Rossa digrigna i denti: prima Guccini, poi gli Skiantos e i Gaznevada, adesso Lindo Ferretti. È il mondo di quei personaggi di carta, nuvole parlanti e (soprattutto) pensanti. I fumetti di Andrea Pazienza resuscitati in carne, ossa e celluloide nel film Paz!, un omaggio al grande disegnatore e a una generazione che forse ha perso, forse no, di certo non si sente troppo bene. Il regista Renato De Maria, che il 1977 bolognese lo visse sulla propria pelle, evoca immagini di un’archeologia utopica che è testimonianza di esistenze brucianti, a volte anche bruciate. Un inno alla vita, alla giovinezza, fatto con coraggio. La scelta del digitale rende l’esperimento sincero e allontana qualsiasi tentazione di ruffianeria estetica. Purtroppo, però, i personaggi si mangiano il racconto e non è un caso che quello definito meglio sia Fiabeschi, di fatto il più marginale nelle tavole del Paz. Questa Bologna sospesa tra il 1977 e Apocalypse Now (che è del 1979), rivissuta con felice intuizione attraverso uno sguardo corale (ben settanta i personaggi con almeno una battuta), fa i conti con se stessa solo fino a un certo punto, e la visione di De Maria finisce per èssere edulcorata (dove sono l’eroina, e la cattiveria...?!). Peccato.

Mauro Gervasini da Film Tv, 9, 2002



Fonte da: http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=33787

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"BELL'AMICO"

Regia: Luca D'Ascanio
Sceneggiatura: Luca D'Ascanio
Fotografia: Federico Shlatter
Montaggio: Federica Lang
Musica: Paolo Silvestri
Scenografia: Gianni Silvestri
Costumi: Livia Mucchi
Interpreti: Luca D'Ascanio (Nicola), Mariano Bartolomeu (Mariano), Paola Cortellesi (Damiana), Rosalinda Celentano (Laura), Cecilia Dazzi (Cecilia), Giorgio Tirabassi (Giorgio), Cinzia Mascoli (avv. Panti), Francesca d'Aloja (Angelica), Fabio Camilli (ispettore)
Produzione: Sorpasso Film
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 84'
Origine: Italia, 2003
Interpreta: "Giorgio"


Sinossi

Sembra mancare di un principio questo film, o meglio, appena partito pare che gli incipit siano due: nei titoli di testa si legge che il regista è un certo Mariano Bartolomeu. Giovane di colore, giunge dall’Africa delle guerre, ha dei contatti con un produttore cinematografico italiano e chiede di essere ospitato per qualche giorno da Nicola (Luca D’Ascanio). Intanto l’ordine cronologico dei fatti è già saltato: Nicola è all’ospedale che racconta entusiasta del nuovo amico all’ ex (Rosalinda Celentano), bloccata a letto per un incidente automobilistico. Quella sarà l’ultima volta che s’incontreranno: lei si farà negare anche a telefono, lui da quel momento dovrà vedersela con l’ospite.
Guai a mandarlo via, anche se i giorni diventano settimane, mesi e il concorso pubblico si avvicina; il colore non lo permette, meglio segregare l’insofferenza e i sensi di colpa. Oltre al tempo anche la saldatura organica delle immagini si sfalda, il nervoso conquista Nicola, la frenesia le sequenze. Mariano, che non fa niente durante il giorno, ha speso un milione di bolletta telefonica, ha cambiato il messaggio in segreteria, s’immerge per ore nella vasca e chiede scusa quando è rimproverato. Il film va avanti o indietro? Mariano non si stacca, è entrato nella vita di Nicola, si è appropriato, dei suoi maglioni, del suo motorino, della sua telecamera e dei nastri che riprendono la sua ex. Nicola soffre in silenzio, ogni tanto sbotta e si ritrova in bagno davanti allo specchio o da solo con i suoi libri a ripensare alla donna che l’ha scaricato. Sono flashback, taglienti, lancinanti, ma forse, a ben pensarci, sono solo intrusioni digitali: sì perché, Mariano sta usando il suo amico, la sua storia finita male e i suoi ricordi su cassetta per fare un altro film.
Attraverso immagini digitali non addomesticate s’insegue la continuità dell’esitenza fisica di Nicola; il materiale, di cui se n’è appropriato Mariano, non è la vita nei suoi significati visibili, ma un’espressione confusa, che appartiene ai livelli fisici e mentali profondi. Anche le parole tendono a manifestarsi in modo spontaneo fino a produrre una sorta d’alienazione che è un puro completamento delle immagini. Il digitale è assolutamente immateriale e lo spazio dell’immaginario – i presunti flashback – si restringe; le immagini di Nicola sembrano autogenerarsi e interferiscono, presentandosi indipendentemente dal soggetto. Le stesse immagini, impresse come tracce mestiche, si presentano come una nuova entità, come un film clandestino.


Fonte da: http://www.sentieriselvaggi.it/articolo.as...=176&idramo2=77

Critica:

Rassegna Stampa

"E' solido, è intelligente, è amaro e divertente insieme, è costato due soldi, ha vinto premi in diversi festival, stilisticamente è tutt'altro che banale. Eppure esce solo ora, dopo essere stato a lungo senza distribuzione. Parliamo di 'Bell'amico', piccolo film in digitale di Luca D'Ascanio (piccolo produttivamente, s'intende), che per il nostro cinema anemico e passatista è quasi una rivoluzione. Diciamola tutta: si girassero ogni anno dieci film così, avremmo tutti da guadagnarci. Chi i film li fa e chi li vede. Perché D'Ascanio, anche sceneggiatore e protagonista, trasforma in stile fluido e coerente l'agilità e le durezze del digitale. E reinventa la vecchia commedia all'italiana fondendola a quello che una volta si chiamava cinéma-vérité". (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 16 maggio 2003)

"Giovanissima promessa della sceneggiatura negli anni '80, Luca D'Ascanio ha qui rivissuto una vicenda autobiografica con la complicità del vero interlocutore; combinando brillantemente una scrittura che sembra non esserci ma è invece sofisticata, con gli strumenti di ripresa più leggeri. Ne viene fuori il gustoso 'Io sono un autarchico' di un quarantenne del Duemila. E infatti Nanni Moretti lo ospita al Nuovo Sacher". (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 17 maggio 2003)

"Un esempio di quello che potrebbe diventare la nostra commedia se lasciasse in pace i trentenni in crisi". (Enzo D'Antonio, 'Io Donna', 21 giugno 2003)

Copyright © Cinematografo 2006


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"PAOLO BORSELLINO"

Regia: Gianluca Maria Tavarelli
Con: Giorgio Tirabassi, Ennio Fantastichini, Andrea Tidona, Antonino Bruschetta, Giulia Michelini, Santi Bellina, Daniela Giordano
Genere: Drammatico
Durata: 195 minuti
Produzione: Italia
Anno: 2004
Interpreta: Paolo Borsellino


Sinossi

Nel 1980 il consigliere Rocco Chinnici incarica Paolo Borsellino dell'istruttoria sulle attività criminali delle varie cosche mafiose palermitane e in particolare su quella emergente dei Corleonesi con a capo Totò Riina. Borsellino chiama accanto a sé il collega e amico d'infanzia Giovanni Falcone e insieme a lui forma quello che poi diventò il famoso pool antimafia. I due lavorano fianco a fianco per 15 anni fino a quando la mafia li uccide in agguati tragicamente spettacolari.


Fonte da: http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=37784

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"ULTIMO 3 - L'INFILTRATO"

Produttore: Universal Pictures
Genere: Film - Azione/Avventura
Data uscita: 22/02/2006
Regia: Michele Soavi
Attori: Alessandro Rossi, Ennio Morricone, Kasia Smutniak, Raoul Bova
Lingue: Italiano
Colori: Colori
Anno produzione: 2004
Interpreta: "Ombra"


Sinossi

Ultimo e nel Chimel, Guatemala, dove assiste allo sterminio di un piccolo villaggio di contadini a cui sopravvivrà solo Nicolas, un piccolo indio che Ultimo porta con sé in Italia per rendere l'estremo saluto ad Ombra, uno dei componenti della squadra, assassinato mentre indagava su Catalano. Deciso a continuare la lotta al “nemico di sempre”, per aggirare il veto dei suoi superiori alla ricostituzione del suo gruppo “Crimor”, Ultimo decide di agire dall'interno infiltrandosi in un clan mafioso che sta portando a termine un grande affare che coinvolge droga e traffico internazionale di armi.


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"NON PRENDERE IMPEGNI STASERA"

Cast: Massimiliano Franciosa, Valerio Aprea, Carlo De ruggeri, Fabio Ferri
Genere: Commedia
Anno: 2006
Interpreta: "altri personaggi"


Sinossi

Storie di quarantenni in crisi che si incrociano, in fuga dal passato e dalle sue delusioni e dal presente caotico delle metropoli piene di rumore e solitudine, cercando rifugio in compagnie occasionali e senza pretese, per sopperire alla mancanza di amore.

Note:

- PRESENTATO IN CONCORSO ALLA 63MA MOSTRA INTERNAZIONALE D'ARTE CINEMATOGRAFICA DI VENEZIA (2006) NELLA SEZIONE 'ORIZZONTI'.


Provider - Cinematografo

Recensione Uno dei meriti del film di Tavarelli, non l’unico ma a nostro avviso uno dei più encomiabili, è il recupero per i titoli di testa di una canzone di De Andrè figlio di qualche anno fa, Dietro la porta. Per il resto Non prendere impegni stasera, presentato nella sezione Orizzonti, è sì un film che si lascia vedere ma dopo un po’ trasmette forte la sensazione di una coazione a ripetere, come se il regista continuasse a girare una vite spanata senza accorgersi che più di tanto non può penetrare. Le coppie protagoniste, tutte brave e ben dirette, ci raccontano i loro malesseri in una Roma che la macchina da presa, spesso dietro una finestra, affronta come se dovesse compiere una autopsia, con inquadrature inconsuete che non concedono al film nessuna consolazione estetica. Forse è questa la cosa migliore del lavoro di Tavarelli, ma manca il graffio, tutto risulta emotivamente troppo omogeneo e quando si tenta di uscire dall’equilibrio, vedi Alessandro Gassman, si sbaglia registro rischiando la forzatura, la macchietta. Bravi e ben diretti dicevamo tutti gli attori, con una nota di merito per Micaela Ramazzotti il cui episodio, in coppia con Luca Zingaretti, ricorda molto le atmosfere e le psicologie di Turista per caso, un film di Lawrence Kasdan di qualche anno fa.
Copyright © Cinematografo 2006.


DA: http://it.movies.yahoo.com/n/non-prendere-...dex-148802.html


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QUESTA INVECE LA PERSONALE PRODUZIONE DEL NOSTRO GIORGIO...

"NON DIRE GATTO"

Regia: Giorgio Tirabassi
Sceneggiatura: Giorgio Tirabassi, Rossella De Venuto
Fotografia: Roberto Cimatti
Musica: Pivio
Interpreti: Natale Tulli, Roberto Nobile
Montaggio: Alfredo Muschietti, Giorgio Tirabassi
Produzione: Cinegand Production
Distribuzione internazionale: Rai Trade, via Novaro 18,.00195 Roma, tel. 06 37498269, fax 06 3701343,
[email protected]www.raitrade.it
Anno: 2001
Durata: 12’


Sinossi

Due uomini anziani, due mondi diversi, condividono un giardino e la solitudine. Uno è un ex pugile che ospita in casa un cane. L’altro è un pensionato che ha perso la moglie da poco e ha appena adottato un gattino. La loro storia è legata a quella dei loro animali.


Fonte da: http://www.nicefestival.org/ita/nice200220..._dire_gatto.htm

Edited by giorgettatirabassi - 16/9/2007, 10:25
 
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Tirabassa
view post Posted on 25/5/2007, 15:47




POSSO "INTERVALLARE" IN QUESTA FILMOGRAFIA UNA PICCOLA CONSIDERAZIONE?

MA...DICO...CI SIAMO RESE/I CONTO PER QUALE "FIOR DI ATTORE" ABBIAMO L'ONORE DI CURARE UN FORUM UFFICIALE?!? :rolleyes: :P :D :wub: ;)

ASSOLUTAMENTE UN GRANDE!!!! :D

E, SPERO PRESTO DI SCRIVERE UNA MIA "PERSONALE" CRITICA A TUTTI QUESTI FILM, DATO CHE AMMETTO DI AVERNE VISTI MOLTO POCHI...
MA RECUPERERO', GIORGIO, STANNE CERTISSIMO!!!! ;)

CONTINUA COSI'...TI AUGURO ANCORA MILIARDI E MILIARDI DI FILM (PER ME DOVRESTI RECITARE FINO ALMENO 90 ANNI!!!!! :D :P :D :P ), SPETTACOLI E TUTTO QUELLO CHE IL TUO CUORE E LA TUA ILLIMITATA CAPACITA' TI SUGGERISCE, CON ALTRETTANTI SUCCESSI!!! ;) :)
TE LO AUGURO CON TUTTO DI CUORE! :D :P ;)





Edited by giorgettatirabassi - 26/5/2007, 08:26
 
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giorgettatirabassi
view post Posted on 26/5/2007, 07:27




PAROLE SANTE ROSS,PAROLE SANTE!!!!!!!!!!!!!!!!!
 
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giorgettatirabassi
view post Posted on 8/6/2007, 11:48




:wub:
 
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Tirabassa
view post Posted on 8/6/2007, 15:45




GRAZIE ANTO: LO SPEZZONE DEL FILM "L'ULTIMO CAPODANNO" E' BELLISSIMO! ;) :wub: :D
INUTILE DIRE CHE GIORGIO E RICKY SONO SIMPATICISSIMI INSIEME, COME SEMPRE! :D :P ;) :)

E GIORGIO...QUANTI CAPELLI CHE HA!!!!! :D :D :D :D :D
 
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kitty:)
view post Posted on 16/7/2007, 14:32




IL PRIMO ESTRATTO

Cast: Giorgio Tirabassi, Eva Robin's, Nancy Brilli, Franco Trevisi, Anita Zagarria, Renato Sarti,
Renato Scarpa, Domenico Fortunato.
Regia: gianpaolo tescari
Sceneggiatura: edoardo erba
Tratto dal racconto "forfora" di: pino cacucci
Direttore della fotografia: fernando ciangola
Scenografia: gian maurizio fercioni e sonia peng
Costumi: daniela verdenelli
Montaggio: osvaldo bargero
Fonico: bruno pupparo
Musiche: nicola tescari
Direttore di produzione: monica ferroni
Prodotto da: marco mandelli e fabrizio marchesi
Produttore esecutivo: marco mandelli
mediometraggio
24’ - 1997


SINOSSI:

Se in italia venisse reintrodotta la pena di morte, il problema più urgente sarebbe quello di renderla democratica.


Fonte da:
http://www.santiagocin.it/archivio/schede/primoestratto.htm


Edited by kitty:) - 17/7/2007, 15:33
 
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kitty:)
view post Posted on 16/7/2007, 14:50




FURTO CON DESTREZZA

Cast: Giorgio Tirabassi
Anno: 1995
Durata: 15 minuti
Genere: CORTOMETRAGGIO
Formato: 35 MM
Produzione: FILMAKERS GROUP
Regia: Francesco Falaschi
Sceneggiatura: Francesco Falaschi
Montaggio: Enzo Meniconi
Fotografia: Marco Sperduti
Musiche: Stefano Ordini
Note: REVISIONE MINISTERO DICEMBRE 1995.


SINOSSI:

Un ladro, entrato in un appartamento per rubare, si trova in compagnia di un bambino e di un enorme cane. Sarà costretto a fare le veci dei padroni di casa in diverse occasioni, fino a desiderare di allontanarsi al più presto.


Fonte da:
http://giorgiotirabassi.forumfree.net/?t=16995077


Edited by kitty:) - 17/7/2007, 15:34
 
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kitty:)
view post Posted on 17/7/2007, 15:40




DI CIELO IN CIELO

1997, Italia
35mm, 88', col.
Regia: Roberto Giannarelli.
Sceneggiatura: Renata Crea, Roberto Giannarelli.
Fotografia: Federico Schlatter.
Scenografia: Paola Riviello.
Montaggio: Francesca Calvelli.
Musica: Daniele Senigallia.
Suono: Maurizio Argentieri.
Interpreti: Giorgio Tirabassi, Cristopher Bucholz, Lea Karen, Daniele Ravoni.
Produttore: Pier Giorgio Bellocchio.
Produzione: Filmalbatros s.r.l., via di Villa Ada 10, 00199 Roma, Italy, tel. +39068554700, fax +39068555280 RAI.
Vendita all’estero: SACIS, via Teulada 66, 00195 Roma, Italy, tel. +3906374981, fax +390637353521.



SINOSSI:
Odeh è un ragazzino palestinese che vive nei Territori occupati ed è inesorabilmente segnato dalla morte brutale di quasi tutti i componenti della sua famiglia. A quindici anni viene mandato a Roma, da solo, per compiere un attentato. Subito dopo lo scoppio della bomba viene arrestato. Durante i dieci anni successivi scopre quanto sia spietata la vita in cella, ascolta le storie tragiche degli altri, ma incontra anche le prime persone disposte ad aiutarlo. Oggi Odeh ha venticinque anni. Lavora e ha ottenuto la semilibertà. Ha affittato una casa in periferia e ha comprato un cane.

Fonti da:
http://www.torinofilmfest.org/view.php?tab...D=4102&lang=ita
http://spazioinwind.libero.it/angelabaraldi/filmo.htm


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DE-GENERAZIONE

Cast: Stefano Abbati, Asia Argento, Cesare Bocci, Simona Cavallari, Luca D'ascanio
Regia: Antonio Antonelli, Asia Argento, Eleonora Fiorini, Alex Infascelli
Sceneggiatura: Antonio Antonelli, Asia Argento, Eleonora Fiorini
Data di uscita: 1994
Genere: Comico/Commedia.



SINOSSI:
PRIMO EPISODIO - ARRIVANO I NOSTRI - (G. BELLOCCHIO) - Un produttore di film horror viene inseguito e giustiziato da alcuni alieni. SECONDO EPISODIO - CONSEGNA A DOMICILIO -(M.e A. MANETTI) Una giovane ordina una cassapanca per la casa ma il mostruoso latore che la consegna, pretentendo la promessa lauta mancia, viene invece prima pugnalato e poi ucciso dall'ignaro marito. TERZO EPISODIO - JUST ANOTHER VAMPIRE -(A. MAULA') Un ragazzo di vita è incuriosito da un presunto vampiro abbordato in un locale equivoco e se lo porta a casa, indagando sulla sua natura, ma scoprendo che è un mitomane e rivelandosi infine per il vero mostro QUARTO EPISODIO - LA TV FA MALE AI BAMBINI -(A. TARAGLIO) Il commentatore televisivo delle testate giornalistiche in terza serata anima il televisore ed assale una bambina lasciata a casa sola dai genitori la quale, per liberarsene, distrugge il televisore. QUINTO EPISODIO -VUOTO A RENDERE - (A. INFASCELLI) In un' ipotetica città tutti portano al polso un numero tatuato: la televisione la sera comunica l'estrazione di alcuni di essi. Ai prescelti, come ad un grigio impiegato, vien fatta esplodere la testa. SESTO EPISODIO - PROSPETTIVE- (A. ARGENTO) Un balordo volo panoramico psicoanalitico con un ombrellone sollevato dal vento. SETTIMO EPISODIO -C ATENE- (A. ANTONELLI) Una società dove le donne accalappiano gli uomini servendosi di guinzagli. OTTAVO EPISODIO - INDIA 21/TAXI - (A. PRANSTRALLER) Un autista di taxi porta a spasso nella notte romana il fantasma di un tizio saltato in aria con la solita bomba. NONO EPISODIO - FINALMENTE INSIEME - (E. FIORINI) Il gioco al massacro onirico di una coppia che sta mettendo su casa e si ritrova poi sfigurata anche nella realtà. DECIMO EPISODIO- SQUEAK!- (A. VALORI) Il sequestro di un inquisito minacciato di morte da parte di tre balordi che lo sottraggono alla donna killer incaricata di ucciderlo, per filmare una serie di sevizie ai suoi danni; ed infine la sua fuga con il giovane del trio, invaghitosi di lui.

Fonti da:
http://it.movies.yahoo.com/d/de-generazion...dex-368031.html
 
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giorgettatirabassi
view post Posted on 21/7/2007, 10:56




MMH NUOVO SPUNTO PER CERCARE.....CHISSA SE SUL P2P CE QUALCOSA A RIGUARDO.... :D ;) ^_^
 
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Tirabassa
view post Posted on 21/7/2007, 16:05




CITAZIONE (giorgettatirabassi @ 21/7/2007, 11:56)
MMH NUOVO SPUNTO PER CERCARE.....CHISSA SE SUL P2P CE QUALCOSA A RIGUARDO.... :D ;) ^_^

EH GIA'...A TE, A NOI...CHI CI FERMA DAVANTI AL REPERIRE NUOVE E SEMPRE ECCEZIONALI NEWS SUL "NOSTRO" GIORGIO?!? :D ;)
GRANDE SUPER-ANTO!!!! ;) :D :P :)

 
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giorgettatirabassi
view post Posted on 16/9/2007, 09:27




INSERITO NUOVO LAVORO DI GIORGIO, DI CIELO IN CIELO, SUGGERITO DA PAOLA.
 
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Tirabassa
view post Posted on 16/9/2007, 19:11




CITAZIONE (giorgettatirabassi @ 21/7/2007, 11:56)
MMH NUOVO SPUNTO PER CERCARE.....CHISSA SE SUL P2P CE QUALCOSA A RIGUARDO.... :D ;) ^_^

BENE ANTO, CONFIDIAMO IN TE... ;) CERCA E SPERIAMO DI TROVARE QUALCOSA! ;)
GRAZIE PAOLA E GRAZIE, COME SEMPRE, SUPER-ANTO! :D :D ;) :)

 
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18 replies since 22/5/2007, 15:28   1316 views
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