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| | "IL BRANCO"
Regia: Marco Risi Vietato: 14 Video: Cecchi Gori Home Video Genere: Drammatico Tipologia: Disagio giovanile Eta' consigliata: Scuole medie superiori Soggetto: Tratto dal romanzo omonimo di Andrea Carraro Sceneggiatura: Andrea Carraro, Marco Risi Fotografia: Massimo Pau Musiche: Franco Piersanti Montaggio: Franco Fraticelli Interpreti: Giampiero Lisarelli (Raniero), Angelika Krautzberger (Marion), Ricky Memphis (Pallesecche), Tamara Simunovic (Sylvia), Salvatore Spada (Ciccio), Giorgio Tirabassi (Sola), Natale Tulli (Sor Quinto), Luca Zingaretti (Ottorino) Produzione: Cecchi Gori Group, Tiger Cinematografica, Sorpasso Film Group Distribuzione: Cecchi Gori Origine: Italia Anno: 1994 Durata: 93'Trama:
Una domenica in un paese dell'agro romano, Raniero, aspirante carabiniere soprannominato per questo "Carruba", incontra i soliti amici al biliardo. Fidanzato con Ernestina, mal sopporta il padre che gli rimprovera le balorde amicizie con Pallesecche, Ciccio, Ottorino, Sola e l'accidia. Giunge Sola con la notizia che due turiste tedesche autostoppiste, "agganciate" da Ottorino, si trovano nella baracca del sor Quintino, a disposizione. Il gruppo si reca sul posto: una ragazza, Marion, viene tenuta nell'automobile di Ottorino, e l'altra, Sylvia, attende il successivo stupratore. Si è sacrificata per salvare l'amica, vergine, dal massacro. Raniero non è capace di usarle violenza e la porta in automobile dicendo che per lei ora basta. Ciò però scatena la furia degli altri su Marion, mentre le grida di costei e i rimproveri di Sylvia, che ha colto la debolezza, nel bene e nel male, del ragazzo, non lo smuovono. Anzi, egli insegue e picchia Sylvia quando questa tenta di scappare nel bosco che circonda la zona. Pallesecche, intanto abusa di Sylvia sotto i suoi occhi, ma lui si limita a sfiorare la mano della ragazza. Mentre due del gruppo litigano, le ragazze tentano una vana fuga. Viene proposto di andare a chiamare gente in paese per abusare, a pagamento, delle due giovani. Ma il rifiuto di Marion a soggiacere all'ennesima sevizia fa si che Pallesecche la colpisca mortalmente alla testa con un martello. Mentre tutti scappano, Sylvia compresa, Ottorino picchia selvaggiamente l'assassino; quindi incarica Raniero di inseguire Sylvia verso la ferrovia, e con gli altri porta via il cadavere. Raniero rintraccia la ragazza, ma questa si rifugia presso un casellante, intervengono i carabinieri che arrestano così Raniero. Critica 1:
Dal romanzo omonimo di Andrea Carraro. In una cittadina laziale (il fatto di cronaca cui s'ispira avvenne a Marcellina) un gruppo di ragazzi compie uno stupro collettivo di cui sono vittime due autostoppiste tedesche. Una delle due muore e viene scaricata in un laghetto come immondizia. Al crimine partecipano un adulto e, come complice, un anziano. Calato in un clima notturno di noir campestre in bilico sull'horror, è un film di denuncia che lascia fuori campo la dimensione sessuale, tranne che in una scena, ma è indebolito da goffi ritorni all'indietro sull'ambiguo personaggio di Raniero, il più gentile del gruppo e forse il peggiore (...). Autore critica: Fonte critica Il Morandini - Dizionario dei film, ZanichelliCritica 2:
Ragazzi fuori? No, ragazzi vuoti. Questa volta Marco Risi tiene le distanze, non entra in confidenza con i suoi giovani protagonisti, non capisce, anzi ci dice che c'è poco da capire: la violenza è gratuita, espressione del nulla di una generazione allo sbando, pura bestialità rognosa e ringhiante. Brutti, sporchi e cattivi, dunque, i ragazzi del Branco: chissà se Risi si è chiesto quale grado di parentela ci sia tra Raniero e i suoi amici stupratori del sabato sera in questo suo ultimo film e i Ragazzi fuori di cui ha raccontato altra volta i casi. Perché, tutto sommato, la questione di un film come Il branco è proprio qui, nella mancata continuità di un rapporto chiaro e semplice tra un regista e i suoi personaggi. Ci si chiede infatti dove siano finite le mille buone ragioni che avevano fatto dei ragazzi di Palermo dei Ragazzi fuori e che, ora ignorate e messe a tacere, fanno di questi ragazzi un Branco assassino. Forse sono rimaste in tasca ad Aurelio Grimaldi, e Marco Risi non è riuscito a trovarle nelle pagine di Andrea Carraro, dal cui omonimo libro (singolare esempio di romanzo-parassita, ispirato ad uno dei dodici episodi di stupro raccontati da Tina Lagostena Bassi nel suo “L'avvocato delle donne”) ha tratto ispirazione per questo suo nuovo film-verità. Non che ci siano buone ragioni, sia chiaro, nella storia di questi sbandati ragazzi dell'entroterra romano che un sabato sera, mentre il paese è in festa nel giorno del patrono, si trastullano violentando a turno due autostoppiste tedesche rapite e portate di forza nella squallida baracca di uno sfasciacarrozze. La questione, però, riguarda l'approccio di Risi alla vicenda raccontata, che, in questo caso, non si sforza neanche di andare oltre l'orrore di un atto brutale e abbrutente, fermandosi all'effetto orripilante e alla semplice condanna. Non basta, insomma, dire che il film lavora sulle dinamiche di gruppo aberranti, sull'appiattimento che il branco opera sul singolo e sulle sue buone potenzialità, annullandolo nella devianza della violenza. Le ragioni di un triste fatto come quello raccontato nel film sono ben altre e Risi non le sfiora neanche. Il distacco e la sufficienza con cui l'autore tratta il personaggio di Raniero è in questo senso sintomatico: Risi ne fa un ragazzotto figlio di mamma, che piange quando il padre gli dà del buono a nulla, aspetta la chiamata nei Carabinieri, bamboleggia con la fidanzata, sogna di lasciare il paese, non sa andare a donne e, per la sua debolezza, rischia di essere emarginato dal gruppo. Su questo perdente senza qualità il film monta la sua struttura tematica senza però articolarla in profondità. Sicché è lui che cerca di risparmiare lo stupro ad una delle due ragazze, ma non evita di sottolineare morbose motivazioni, sino al laconico giudizio della tedeschina che gli dice: “Gli altri sono delle bestie, tu sei solo un verme!”. Ed ha ragione, la ragazza, perché Raniero, al quale pure Risi e Carraro vorrebbero affidare un doppiofondo prolifico di risvolti umani e sociali, resta una sagoma senza nerbo. Il film non riesce minimamente ad approfondire il suo rapporto col gruppo, accennando in un primo momento al fatto che, in realtà, il primo ad essere "violentato" dal branco è proprio lui, ma poi schiacciandolo sotto la responsabilità di aver suggerito agli altri l'idea di invitare tutto il paese alla "festa" per una botta a pagamento. Sicché il finale - col suo delirio madonnaro, le memorie religiose d'infanzia, la commozione, la confusione... crolla addosso a questo misero ragazzotto, senza accrescerne di un grammo il peso narrativo. E Risi dimostra di fare cinema puramente formale, girato anche bene - ché Il branco, se é per questo, ha forza e sa toccare i nervi, soprattutto del pubblico femminile (...).
Autore critica: Massimo Causo Fonte critica: Cineforum n.337 Data critica:9/1994Il film e' tratto dall'omonimo libro:
Titolo libro: Branco (Il) Autore libro: Carraro Andrea
n.22 - Serie rosa di Parma Pagg.178 Formato 12X16, brossura, colori. Codice ISBN 88-87803-57-9 Uscita: settembre 2005
Il controverso racconto di uno strupro collettivo di due turiste straniere, visto dalla ingiustificabile posizione dei violentatori. L'autore, con un verismo dalla facile e godibile lettura vi trasporterà nel gorgo della violenza dove le vere vittime vi sembreranno essere i ragazzi del "branco". Questo testo "politicamente scorretto" apparve per i tipi della defunta società editrice romana "Theoria" nell'ormai lontano 1994, avendo un indubbio successo di pubblico e di critica. nonche una interessante trasposizione cinematografica firmata da Marco Risi con Ricky Memphis e Luca Zingaretti. La Gaffi togliendolo dall'ingiustificato oblio lo ha ridato alle stampe corredato con un corposo saggio critico di Filippo La Porta su tutta la carriera dello scrittore.Fonte da: http://www.municipio.re.it/cinema/catfilm....63?opendocumentFonte libro da: www.gaffi.it/cgi-bin/front_end/libri?collana=14----------------------------------------------------------------------------- "AL CENTRO DELL'AREA DI RIGORE"
Cast: Guillaume Fontannaz, Christian Capone, Giorgio Tirabassi, Donat Guibert, Marzia Aquilani, Daniele Pio, Julie Turin, Leila Durante, Sal Borgese Regia: Bruno Garbuglia Sceneggiatura: Bruno Garbuglia Anno:1994 Genere: Drammatico Distribuito da ISTITUTO LUCE (1996) - MONDADORI VIDEO Interpreta: "Carletto"Sinossi
Nel maggio del 1942, a Roma, città aperta, alcuni giovani, accesi tifosi romanisti (Renato, Tina, Mozzicone e Carletto), per seguire la squadra del cuore nell'ultima e decisiva trasferta torinese, cercano di organizzare un viaggio e si arrabattano per raggranellare i soldi. Al gruppo si unisce Biagio, amicissimo di Renato, che seppure laziale, sfumata l'assunzione alle ferrovie invano perseguita dal padre, deve partire soldato e vuol trascorrere l'ultima settimana con gli amici, e Roberto, fidanzato di Rosa, sorella di Renato, e attivista comunista, che approfitta di questa copertura per ritirare un importante documento. Dopo qualche indecisione i giovani partono col camioncino di Carletto, ma incontrano alcune difficoltà: restano impantanati in un fiume ed un buttero li rimorchia coi suoi cavalli; derubano un "borsaro" nero che li insegue e brucia il camioncino; incontrano due ballerine del varietà disoccupate che organizzano uno spettacolo balneare e Biagio crede di aver trovato l'amore; Renato, dopo un bagno estemporaneo in mare, si accorge finalmente della graziosa Tina, che ha per lui un debole, che ha sempre respinto ritenendola una ragazzina. Dopo aver assistito a Talamone al rito delle spose di guerra, i giovani si ricongiungono al treno dei tifosi romani. A Torino Roberto contatta un professore che gli consegna lo storico "Documento di Tolosa", primo manifesto antifascista delle forze democratiche italiane, ma il giovane deve fuggire dal retro per l'arrivo della polizia dell'OVRA che arresta però Renato e Biagio sopraggiunti perché preoccupati del ritardo dell'amico. Invano tentano di spiegare al commissario il motivo della loro visita al professore, da tempo sorvegliato. Il commissario fa portare una radio che trasmette la partita, blandendoli con la promessa di farli condurre allo stadio in automobile, ma i giovani non parlano anche sotto le percosse degli agenti. L'unico nome che Renato fa è quello di Amadei, il giocatore della Roma che in quel momento ha segnato il goal per la squadra che così vince lo scudetto.Fonte da: http://it.movies.yahoo.com/a/al-centro-del...dex-132538.html-------------------------------------------------------------------------------- "CORRERE CONTRO"
Cast: Stefano Dionisi, Massimo Bellinzoni, Stefania Rocca, Pierfrancesco Favino, Damiano Capocitti, Mauro Marino, Giorgio Tirabassi Regia: Antonio Tibaldi Sceneggiatura: Nino Bizzarri, Guglielmo Enea, Alessandro Sermoneta, Antonio Tibaldi Data di uscita: 1996 Genere: Romantico Interpreta: "Altri personaggi"Sinossi
Correre contro è la storia dell'amicizia fra Pablo, un ragazzo costretto sulla sedia a rotelle a causa di un incidente, e Daniele, un ragazzo inviato a svolgere il servizio civile nel centro di riabilitazione dove Pablo si reca. All'inizio fra i due c'è una certa diffidenza ma poi diventano amici. Fanno la conoscenza di Chiara, una ragazza affetta da epilessia, ed entrambi se ne innamorano. Ma Pablo, temendo di essere rifiutato a causa del suo handicap, rinuncia a lei e spinge Daniele a farsi avanti. Chiara sa bene cosa significa sentirsi "diversi" e vorrebbe dimostrare a Pablo il suo amore, ma viene da lui respinta, per paura di non essere accettato. Sarà grazie all'intervento di Daniele che i due riusciranno a capirsi fino in fondo e a vivere il loro amore.Note:
FILM TV TRASMESSO DA RAIDUE PER IL CICLO "DIVERSI" - DATA DI TRASMISSIONE 11 FEBBRAIO 1996; ASCOLTO 2.489Fonte da: http://it.movies.yahoo.com/c/correre-contr...dex-141831.html------------------------------------------------------------------------------------- "SANTO STEFANO"
Regia: Angelo Pasquini Con: Claudio Bigagli, Claudio Amendola, Laura Morante, Andrea De Rosa, Lucio Allocca, Antonio Petrocelli, Giorgio Tirabassi, Gaetano Amato, Antonio Pennarella, Rosa Pianeta, Paolo Gasparini, Lello Serao, Emanuele Valenti. Genere: Drammatico Durata: 87 minuti Produzione: Italia Anno: 1997 Interpreta: "Furci"Sinossi
Penitenziario di Santo Stefano. Il Direttore D'Assisi cerca di umanizzare la realtà carceraria incontrando però forti resistenze da parte delle autorità. Sul piano personale D'Assisi si trova a confrontarsi con il legame di amicizia che si instaura tra suo figlio Antonio e Nicola, un carcerato che gli fa quasi da precettore. Quando Nicola tenterà la fuga Antonio dovrà decidere se rivelare dove si trova nascosto o tacere. Critica:
Film coprodotto dalla Rai, altro film sul carcere (è il tic, la mania di quest'anno), altra storia seguita attraverso un bambino, Santo Stefano segna il debutto nella regia di Angelo Pasquini, soggettista e sceneggiatore anche de Il portaborse di Luchetti, di Sud di Salvatores. È la storia vera, negli Anni Cinquanta, del direttore riformatore (Claudio Bigagli) d'un carcere per ergastolani, del suo impegno e della sua battaglia per dare ai prigionieri confinati sull'isoletta tirrenica una vita non disumana, della sua sconfitta nel clima repressivo e conservatore instauratosi nel 1960 con il governo Tambroni appoggiato dall'estrema destra. Nel carcere va a vivere e studiare per qualche tempo il figlio ragazzino del direttore (Andrea De Rosa), che sarà testimone delle riforme e della loro cancellazione, che imparerà a essere uomo nell'amicizia con uno degli ergastolani (Claudio Amendola). Lo stile è medio, consueto. L'intento è probo: sono davvero memorabili le persone di buona volontà che per prime, trenta o quarant'anni fa, con ardore e rigore, a volte sostenute dall'umanesimo cristiano, aiutate oppure abbandonate dalla Chiesa, tentarono di introdurre civiltà in un Paese arretrato, contro l'opposizione dei conservatori. E il film, una volta tanto, ricostruisce gli Anni Cinquanta con esattezza eloquente, senza luoghi comuni. Da La Stampa, 30 Agosto 1997Fonte da: http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=21533 http://www.mymovies.it/dizionario/critica.asp?id=5721 ------------------------------------------------------------------------------- "IL CARNIERE"
Regia: Maurizio Zaccaro Con: Massimo Ghini, Leo Gullotta, Antonio Catania, Fabio Sartor, Giorgio Tirabassi, Roberto Zibetti, Paraskeva Djukelova. Genere: Drammatico Durata: 94 minuti Produzione: Italia Anno: 1997 Interpreta: "Altri personaggi"Sinossi
Trama 1:
Verso la fine dell'estate 1991, su una station wagon tre italiani raggiungono una riserva di caccia in Croazia. Vanno a cervi, ma, ignari di quel che da mesi bolle in pentola, non sanno decifrare gli enigmatici segnali che li circondano. A caccia, uno dei tre si busca un proiettile di provenienza ignota in un ginocchio. Passano in un ospedale e finiscono in un albergo preso di mira notte e giorno dai cecchini. La vacanza si è trasformata in un incubo di paura, sangue e morte. Errori di sceneggiatura e un finale troppo didattico fiaccano, ma non sminuiscono forza e sincerità di un film limpido che coniuga efficacia e pudore, energia e delicatezza nel raccontare obliquamente la guerra come confusione, cecità, assurdo caos, scienza dell'infelicità umana. Premio S. Fedele 1997.
Trama 2:
Dall'Italia tre amici, Renzo, Paolo e Roberto, arrivano in Jugoslavia. Come ogni anno, si apprestano a raggiungere una riserva per l'abituale battuta di caccia. Hanno appuntamento con Boris, il capocaccia che li dovrà guidare nei luoghi opportuni. Stavolta però Boris non si fa trovare. Al suo posto, la figlia Rada guida gli ospiti nei boschi ma, alla sera, partono improvvisi colpi di fucile in mezzo agli alberi. Ferito ad una gamba, Paolo viene trasportato all'ospedale della più vicina città, gli altri sono interrogati dalla polizia, nelle stanze e nei corridoi si intravvedono gruppi di altri feriti. Passa la notte, e la mattina rumori di sirene, spari, incendi fanno capire la verità: è l'autunno del 1991 e in Jugoslavia è cominciata la guerra civile tra le varie regioni ed etnie. Gli italiani si trasferiscono in un hotel in disfacimento pieno di soldati, profughi, confusione. Dai palazzi di fronte i cecchini sparano e uccidono. Passerà del tempo, prima che i tre riescano a fare ritorno in Italia. La vicenda è raccontata oggi da un giornalista sportivo, che aveva conosciuto Renzo, Paolo e Roberto in quell'albergo, dove anche lui si trovava per intervistare un giocatore di basket.Critica 1:
A proposito di Il carniere di Maurizio Zaccaro sarei tentato di definirlo un film kafkiano, ma mi trattengo per due buoni motivi: il primo è che l’aggettivo è tanto logoro da svilire una grande esperienza culturale al livello del supermarket; il secondo è che i fatti evocati sullo schermo non sono letteratura, sono ahimè veri o per lo meno terribilmente verosimili. Tre italiani vanno a caccia nella ex Jugoslavia del 93 e la guerra civile gli scoppia tra i piedi, trasformandoli in ostaggi della follia. La metafora della caccia applicata a una situazione di violenza non è nuova, basti ricordare due classici: A caça (1963) del portoghese Manoel de Oliveira e La caccia (1966) dello spagnolo Carlos Saura. Qui l’impegno dei cinque sceneggiatori che firmano il copione (ma fra loro i soggettisti sono due soltanto, Marco Bechis e Gigi Riva) è stato soprattutto quello di graduare il passaggio dalla normalità all’inferno. C’è una cornice, forse superflua per quanto affidata a un attore sempre significativo, in cui il giornalista Leo Gullotta racconta come una cronaca di basket gli si trasformò fra le mani nella cronaca di un massacro. Lo steward Massimo Ghini, suo fratello Roberto Zibetti e il pilota Antonio Catania arrivando in macchina nei pressi della riserva Iskar non badano a certi segni premonitori di guai, come le indicazioni stradali cancellate. Hanno avvertito qualche tensione nel paese, ma si dicono: «Se usiamo la testa, non ci succede niente». E invece non trovano il guardacaccia che hanno prenotato (sapremo poi che milita nella guerriglia), solo sua figlia Paraskeva Djukelova accetta controvoglia di accompagnarli. Sennonché sul luogo dell’appostamento cominciano a fischiare pallottole e il pilota se ne becca una nella gamba. Fuga verso una città che assomiglia alla tormentata Sarajevo vista tante volte alla tv, ricovero in un albergo-torre bersagliatissimo dai cecchini e trasformato in un girone infernale superaffollato per invasione di profughi. Molto fedelmente ricostruita in Bulgaria (scenografia di Paola Comencini, costumi di Laura Costantini), la situazione spietata-mente evidenziata nell’inquietante e magistrale fotografia di Blasco Giurato (andrebbe ricordato nella stagione dei premi) oscilla fra l’iperrealismo e la metafora. Si scopre poco a poco che la ragazza Paraskeva (intensa attrice bulgara, che in teatro ha brillato in Kätchen von Heilbronn di Kleist e qui recita in italiano) appartiene in realtà all’etica degli assedianti, quindi si trova in particolare stato di pericolo, e lo sviluppo del suo dramma personale inserito nell’affresco catastrofico porta a uno sbocco da tragedia greca. I tre nostri connazionali (perfetti Ghini, Catania e Zibetti per credibilità, ingenuità e pragmatiche capacità di recupero) sono spettatori sbalorditi e incolpevoli che in ogni momento potrebbero trasformarsi in vittime. La musica di Pino Donaggio rinforza il succedersi dei momenti di suspense, forse con un tantino di invadenza. Proprio la musica dà la misura di un eccesso nel registro melodrammatico che qua e là rischia di contraddire l’assunto rigoroso. Se l’ottimo Zaccaro si fosse ispirato a Paisà più che ai modelli americani, avrebbe realizzato un film memorabile; ma Il carniere resta ugualmente uno spettacolo suggestivo e forte, la conferma di un giovane talento della scuola olmiana dal quale ormai ci possiamo aspettare il meglio. Tullio Kezich (Il Corriere della Sera)Critica 2:
Una delle guerre contemporanee limitate, feroci, caotiche, incomprensibili, capaci di riportare l'uomo a una condizione arcaica, è raccontata molto bene da Maurizio Zaccaro ne Il carniere, attraverso la storia di tre cacciatori italiani riferita dal giornalista sportivo Leo Gullotta casualmente presente. Nell'autunno 1991 gli amici Massimo Ghini, Antonio Catania, Roberto Zibetti (fratello di Ghini) vanno come altre volte in Bosnia a sparare ai cervi, e si ritrovano nella guerra. Chi era andato per uccidere rischia d'essere ucciso, chi voleva cacciare animali vede la caccia all'uomo, chi portava il carniere conosce il carnaio, chi era arrivato da turista benestante sperimenta il destino dei profughi senza casa, senza cibo, senza illuminazione né riscaldamento, senza notizie, senza possibilità di capire cosa accada né come finirà. Riusciranno a fuggire, a tornare in Italia: con una consapevolezza nuova della precarietà attuale, della perenne minaccia, della fragilità del loro benessere di privilegiati. Apparizioni eloquenti: i cartelli stradali, le frecce direzionali, le indicazioni per i viaggiatori sono simbolicamente scomparsi, annullati da pennellate bianche; dall'alto, metodicamente, con esattezza e calma, un cecchino spara uccidendo persone a caso, approfittando della guerra per esercitarsi nel tiro, sua specialità olimpionica; la grande bellezza intatta dei paesaggi e dei boschi nasconde insidie, morte. È molto ben narrata la gradualità con cui i cacciatori italiani s'accorgono dell'assedio bellico, la loro incredulità nel constatare che le armi consuete (razionalità, soldi, cultura) non servono a nulla, la loro confusione moltiplicata dall'ignoranza della lingua, eppure la naturalezza con cui, come guidati da una memoria genetica, s'adattano ai disagi, al sonno irrequieto dei fuggiaschi, alla promiscuità, alle cure mediche primitive. Con la fotografia bella di Blasco Giurato, la disavventura diventa una intensa metafora morale: su un tema cruciale del presente Zaccaro ha fatto un film riuscito, serio, senza indulgenze alla facilità ma appassionante, intelligente. E gli attori l'hanno recitato bene: Massimo Ghini in particolare dà una delle sue interpretazioni migliori, efficace, misurata, interiore. Lietta Tornabuoni (La Stampa), 16, Marzo 1997Critica 3:
Il cinema italiano e la guerra nella ex Iugoslavia. È il primo caso: lo affronta Maurizio Zaccaro, allievo di Olmi, collaboratore di Pupi Avati, sostenuto da un testo cui, insieme con lui, hanno posto mano Marco Bechis, Gigi Riva, Umberto Contarello e Laura Fremdor. Un testo che all’inizio, con abile senso dello spettacolo, sembra proporre solo una partita di caccia organizzata da un gruppo di italiani in una zona boscosa che potrebbe essere la Bosnia. Presto, però, con dei contrattempi: la guida che doveva attenderli non si fa trovare, una sua figlia che si è incaricata di sostituirla è ansiosa e piena di paure; fino a dei colpi di fucile che feriscono uno del gruppo, con una rapida corsa alla volta della città più vicina dove, di colpo, le atmosfere cambiano: folla negli ospedali, si spara dai tetti, carri armati nelle strade, militari di cui non si capiscono le intenzioni, in un disordine, anzi, in un caos sempre crescente. La guerra civile. E in mezzo quegli italiani che non si raccapezzano più, ignari di chi siano gli amici ed i nemici; con quella iugoslava al fianco, anche lei poco chiara non solo nelle intenzioni ma nei sentimenti politici che la guidano e, ormai, con un solo desiderio, quello di scappare da quell’inferno e di portare a casa la pelle. Prima che ci riescano, però, Zaccaro contempla insieme con loro, e da vicino, quella bolgia: seguendo sì i casi dei tre mancati cacciatori e di un giornalista italiano incontrato per caso, ma analizzando – quasi come un documento – tutto quanto si sta verificando attorno; i cecchini, lo stupore di chi non capisce cosa stia succedendo, l’incertezza, sofferta da tutti, sulle parti politiche ed etniche in lotta. Fino ad arrivare ad un ritratto corale di una guerra che ancora non è una guerra in cui gli amici e i nemici si confondono e in cui, a farsi sempre più in primo piano, dopo lo sgomento iniziale, è la paura; anticamera di quegli orrori cui il film accenna soltanto ma che dopo, lo sappiamo tutti, non dovevano tardare ad esplodere. Una rappresentazione secca e risentita (cui nuocciono soltanto, da un punto di vista narrativo, un prologo ed un epilogo di sapore troppo scopertamente letterario), delle immagini torve e bluastre – di Blasco Giurato – tenute rigorosamente nelle cifre più realistiche, con la possibilità di emozionare senza cedere né alla retorica né alla documentazione distante è distaccata. Altrettanto felici gli interpreti, soprattutto Massimo Ghini e Antonio Catania, con tensioni e risentimenti vividi ma dosati. La iugoslava che li accompagna è l’attrice bulgara Paraskeva Djukelova. Il giornalista è Leo Gullotta: con il suo severo impegno, riscatta un po’ il facile espediente del prologo e dell’epilogo. Gian Luigi Rondi da Il Tempo, 20 marzo 1997Critica 4:
Allo spunto di partenza di Il carniere, il film di Maurizio Zaccaro ambientato nella Jugoslavia del 1991, si sposerebbe perfettamente il titolo - appena modificato - di un fortunato recente successo, "Bella vita e guerre altrui" (quelle del libro di Alessandro Barbero erano le guerre di Mr Pyle, gentiluomo). Bella la vita dei tre amici che nell'autunno del 1991 corrono su una station wagon nel paesaggio di quella che allora si chiamava la Jugoslavia per andare a fare una partita di caccia in una grande riserva. E peccato che il desiderio di divertimento dei tre (Massimo Ghini sempre più calato nel suo ruolo di Alberto Sordi anni '90, Antonio Catania e Roberto Zibetti) ignori le voci di guerra -le guerre altrui appunto - che già arrivano dal sud del paese. Neanche li inquietano, nella cecità della loro allegria, quelle frecce stradali cancellate - metafora potente e semplicissima di un paese che si sta disgregando e reciprocamente negando. Succede dunque che i tre, un po' per allegria un po' per italica cialtroneria, ignorino il senso di minaccia nell'aria. Non trovano il guardiacaccia all'appuntamento previsto. Ma insistono perché sua figlia li porti nella riserva. E così nelle brume serali, in un paesaggio all'apparenza incantato (che risulta esser la Bulgaria), comincia una partita di caccia in cui anziché i cervi dai boschi sbucano degli umani armati di fucili. Ferito a una gamba, Catania deve essere trasportato al più vicino ospedale: che si trova però in una città dove la piccola sporca misteriosa guerra altrui sta infuriando. E i tre figli del benessere e dell'ordine, che si facevano un vanto della perfetta organizzazione del loro viaggio, si trovano persi nel girone infernale di un albergo senza luce, senza cibo, senza regole e senza apparenti o comprensibili ragioni, in un paese dove avere un nome bosniaco o croato può segnare la differenza tra la vita e la morte, e dove improvvisamente la vita di un uomo (anzi, la morte) vale cinquecento dollari (settecento se è una donna, mille se è un bambino). A raccontare la storia dei tre amici è Leo Gullotta - un giornalista sportivo arrivato in Jugoslavia al seguito di un gruppo di atleti e rimasto bloccato in una città che sembra la sinopia di ciò che sarà poi Sarajevo. Zaccaro, grazie anche alla bella livida fotografia di Blasco Giurato, ricostruisce in maniera molto credibile l'atmosfera di incomprensibile incubo di questa guerra altrui. Emerge invece più scolorito e meno interessante il ritratto dei tre amici, che soffre anche di un problema di casting: quando si immette in un gruppo un attore con la faccia singolare e inquietante di Robert Zibetti non gli si può far fare solo il bravo ragazzo taciturno. Irene Bignardi La Repubblica Critica 5:
MAURIZIO ZACCARO, IL CARNIERE
Dove inizia la caccia al cervo inizia quella all’uomo. Non è il remake del “Cacciatore” di Cimino, e neppure un film di guerra classico. “Il carniere” è un film in ricordo, con tanto di voce narrante, di tre cacciatori italiani in ex Jugoslavia, ai tempi in cui noi ancora non sapevamo che sarebbe diventata “ex”. Siamo nell’autunno del ‘91, Massimo Ghini, Antonio Catania e Roberto Zibetti vanno a caccia, ma trovano la guerra al posto del cervo, e incontrano pure Leo Gullotta, giornalista sportivo col fucile al posto del canestro, e l’intensa Paraskeva Djukelova (ventisettenne attrice bulgara). IL regista è Maurizio Zaccaro (“La valle di Pietra”, “Cervellini fritti impanati”, “Articolo due”), il produttore Di Clemente, la distribuzione Buena Vista (questo sarà anche il primo film dei dieci italiani che la major porterà nel mondo). “E’ il tentativo di ricostruire l’inizio del conflitto - spiega Umberto Contarello, che con Marco Bechis, Gigi Riva e il regista stesso ha cosceneggiato il film -, perché fu difficile percepirne le reali dimensioni. Ho ricordi precisi, andando in vacanza in quei posti, di molta gente che conoscevo che continuava ad andare anche dopo lo scoppio delle ostilità. Il senso di questa guerra non lo si è mai capito fino in fondo. E la cosa tremenda è che neppure le vittime riuscivano a capire”. L’idea nasce da un articolo di Gigi Riva, reporter de “Il Giorno” a Sarajevo per due anni. Ha tenuto una specie di diario di quel periodo, o meglio “schede” di sensazioni, storie, che Zaccaro spera trovino un editore (intanto il giornalista ha già pubblicato “L’Onu è morta a Sarajevo”). Per la subitanea esplosione di violenza da guerra Zaccaro s’è documentato sui materiali video che le televisioni croate gli hanno fornito. “Quello che si vede nel film è un po’ come quanto accadde a Vukovar, a Goradze, è storia comune, anche se molto dolorosa. Abbiamo girato a Sofia, in Bulgaria, perché non me la sono sentita di andare in una città jugoslava teatro effettivo della tragedia. Altri si sono avvicinati alla cinematografia bulgara (anche “Il principe di Homburg” di Bellocchio ha set bulgaro, n.d.r.), e non solo per questioni di soldi”. “Il carniere” ha rappresentato pure l’occasione per due dei suoi attori di uscire da binari spesso frequentati. Antonio Catania s’è scrollato di dosso il nume tutelare comico Salvatores, mentre Leo Gullotta ha fatto il giornalista per la prima volta: “è stato un modo per intraprendere una riflessione umana, sull’individuo. Tra tutti, il mio personaggio è l’unico che guarda con occhio offeso la devastazione cui assiste”. Il 10 marzo Zaccaro inizierà, nello Zimbawe, le riprese di “La missione”, prodotto da Valsecchi per Mediaset, con Michele Placido, Massimo Ghini e Barbara De Rossi. La vicenda di due missioni al confine tra Burundi e Zaire, ma girata altrove “per stare più al sicuro”. Monica Repetto (Il Tempo)Note:
REVISIONE MINISTERO FEBBRAIO 1997
DAVID DI DONATELLO 1997 PER MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA (LEO GULLOTTA).Fonte da: http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=4551 http://it.movies.yahoo.com/i/il-carniere/index-368405.html http://www.municipio.re.it/cinema/catfilm....58?opendocument-------------------------------------------------------------------------------------- "LA CLASSE NON E' ACQUA"
Cast: Luigi Petrucci, Edoardo Leo, Roberto Citran, Alessandra Acciai, Stefano Masciarelli, Antonio Catania, Barbara Livi, Valerio Mastandrea Regia: Cecilia Calvi Sceneggiatura: Luca Manfredi, Cecilia Calvi Genere: Commedia Distribuito da WARNER BROS ITALIA Anno: 1997
Sinossi
Dopo aver insegnato alcuni anni all'estero, il professor Guido Marinelli torna a Roma e si prepara al suo nuovo incarico. Appena fuori dalla stazione una ragazza lo avvicina trafelata, gli lascia un pacco e scappa. Dentro c'è un bambino che Guido porta all'ospedale ed è affidato ad una giovane dottoressa. Quando arriva a scuola, si accorge che qualcun'altro più gradito ha preso il suo posto, e solo con una protesta davanti al ministero della Pubblica Istruzione riesce a riprendersi il maltolto. Finalmente in classe, Guido comincia un difficile rapporto con gli alunni apatici, disinteressati, turbolenti, e, dalla parte opposta, verifica anche lo stato di demotivazione del corpo insegnante. Mentre affronta i problemi quotidiani del lavoro, Guido si tiene anche al corrente sullo stato di salute del bambino abbandonato, fin quando, da alcuni precisi indizi, non capisce che la madre del bambino è una ragazza della sua classe, Anna. Si adopera allora per cercare di metterla di fronte alle sue responsabilità, e di entrare in contatto anche con la famiglia. Molti problemi sembrano risolversi, perchè Guido acquista a poco a poco la fiducia degli alunni e si innamora, ricambiato, di Martina, la dottoressa dell'ospedale. Anche l'amicizia del collega Claudio, che lo ha ospitato a casa sua, lo aiuta a superare le difficoltà. E, alla fine, Anna accetta di riconoscere il bambino, insieme al ragazzo che ne è il padre e, quando la burocrazia cerca ancora di allontanare Guido dal suo posto a favore di un "raccomandato", tutta la classe si oppone e la situazione non cambia".
Note:
REVISIONE MINISTERO APRILE 1997. SUONO: UGO CELANI.
Notizie Justin Timberlake: lo zimbello della classe 10:53, 03.05.2007 — Gossipnews
Il cantante è migliorato crescendo...
Geni per caso - vol.4-5-6 18:05, 21.04.2007
Mondo Home Entertainment presenta in DVD “Geni per caso”, la serie tv trasmessa da Rai 3 e da Disney Channel che vede come protagonisti due giovanissimi allievi della Sandy Bay School Toby Johnson e Elisabeth
DA: http://it.movies.yahoo.com/l/la-classe-non...dex-356096.html----------------------------------------------------------------------------------- "DI CIELO IN CIELO"
CAST:
Christopher Buchholz Lea Gramsdorff Daniele Ravoni Simone Santinelli Angela Baraldi Giorgio TirabassiNON CI SONO NOTIZIE A RIGUARDO----------------------------------------------------------------------------------- "IL QUARTO RE"
Paese: Italia - Germania Regia:Stefano Reali Principali interpreti: Raoul Bova; Daniel Ceccaldi; Joachim Fuchsberger; Billy Dee Williams; Anja Kruse; Maria Grazia Cucinotta Genere: Drammatico Durata: 90 min. Lingua: Italiano Anno: 1998 Interpreta: "Uno dei lebbrosi"Sinossi
Alazhar, un semplice contadino ed appassionato apicoltore, che si trova coinvolto nel viaggio che i tre Re Magi hanno intrapreso alla volta di Betlemme. E' un viaggio che nasconde insidie, pericoli e trappole, ma che infine si rivelerà essere una meravigliosa scoperta della conoscenza e della vita: Alazhar lascia la sua casa come un ragazzo e vi ritornerà come uomo. Il rapporto con i suoi compagni di viaggio non è facile, i tre Re sanno che non riusciranno mai a raggiungere la meta senza l'aiuto di quel giovane contadino e delle sue api, che miracolosamente si trasformano nella coda della cometa che indicherà loro la strada. Ma il pensiero di Alazhar è sempre rivolto alla sua amatissima moglie Izhira prossima a dare alla luce il loro primogenito. Non sopportando il distacco egli cerca continuamente di riprendere la via del ritorno, costringendo i tre Re a fare ricorso alle loro arti magiche. Fonte da: http://www.wuz.it/Home/RicercaDVD/SchedaDV...04/Default.aspx------------------------------------------------------------------------------------- "ULTIMO"
Cast: Raoul Bova, Ricky Memphis, Paolo Seganti, Giorgio Tirabassi, Beppe Fiorello, Francesco Benigno, Simone Corrente, Emilio Bonucci, Victor Cavallo, Stefano Abbati Regia: Stefano Reali Sceneggiatura: Salvatore Basile, Graziano Diana, Stefano Reali Data di uscita: 1998 Genere: Azione Interpreta: "Ombra"Sinossi
Roberto Di Stefano, nome in codice "Ultimo", giovane capitano dei Carabinieri dotato di un profondo e radicale senso di giustizia, riceve l'incarico di seguire un importante latitante, Niscemi, il commercialista del boss Partanna, a Roma per portare a termine alcune operazioni finanziarie. Ultimo è abituato a lavorare nell'ombra per continuare a essere operativo. Nell'Arma non gode di grandi favori, anche perché i suoi successi attirano l'invidia di alcuni colleghi. Può contare però sulla stima di magistrati e superiori, come il generale Trani. Per formare il suo gruppo operativo, Ultimo sceglie gli "scarti" dell'Arma ragazzi capaci, dotati di uno spiccato atteggiamento di iniziativa, che però, per il loro spirito ribelle e per i metodi non conformisti, sono stati messi ai margini. Con i mezzi più poveri, il gruppo - denominato "Crimor" è composto, oltre a Ultimo, da Solo, Arciere, Ombra, Parsifal, Aspide, Pirata - si mette subito a lavorare duramente. Dopo una serie di pedinamenti, riescono ad arrestare Niscemi, che decide di collaborare con la giustizia. Ultimo e il suo gruppo partono per la Sicilia, dove sono costretti a lavorare in totale clandestinità. Individuano la zona in cui da anni il boss vive nascosto. Mentre la Procura tenta di rimuoverlo dall'incarico, Ultimo in una tumultuosa lotta contro il tempo, preleva Niscemi, uno dei pochi in grado di riconoscere il boss, di cui non esistono fotografie. Quando alla fine il gruppo di Ultimo irrompe nella macchina di Partanna ferma a un semaforo e lo arresta, dalle radio delle auto in servizio parte un messaggio in codice: "Non c'è più nebbia in città".Note:
- FILM PER LA TELEVISIONE
- SERIE DI 2 PUNTATE DA 90' ANDATE IN ONDA MARTEDI' 17 E GIOVEDI' 19 NOVEMBRE 1998 SU CANALE 5
- DATA DI TRASMISSIONE: 17.11.1998
- ASCOLTO: 9.878Fonte da: http://it.movies.yahoo.com/u/ultimo/index-183429.html-------------------------------------------------------------------------------------- "L'ODORE DELLA NOTTE"
Regia: Claudio Caligari Con: Valerio Mastandrea, Alessia Fugardi, Giorgio Tirabassi, Eva Vanicek, Pino Ferrara, Eolo Capritti, Little Tony, Federico Pacifici, Augusto Poderosi, Marco Giallini, Elda Alvigini, Ginevra Colonna, Giampiero Lisarelli, Marcello Mazzarella, Serena Bonanno, Nicola Siri. Genere: Poliziesco Durata: 100 minuti Produzione: Italia Anno: 1998 Interpreta: "Altri personaggi" Sinossi
Le imprese di una banda criminale di giovani di periferia, detta dell'Arancia Meccanica, nella Roma alla fine degli anni '70, mentre tocca il suo acme la lotta armata: l'ex poliziotto Remo (V. Mastandrea) e i suoi amici di borgata fanno la loro guerra privata contro quelli che hanno avuto la vita facile, ma, data l'assenza di strategia e di idee, è una guerra destinata alla ripetizione e a un'inevitabile sconfitta. Dopo Altri uomini (1997), è il 2° tentativo di riprendere, con più alte ambizioni tematiche e stilistiche, il filone poliziottesco e noir degli anni '70. Quindici anni dopo Amore tossico, il piemontese di lago Caligari torna al lungometraggio con un film tratto dal romanzo Le notti di Arancia meccanica di Dido Sacchettoni, ma ancora una volta dimostra che in lui il regista vale più dello sceneggiatore. Sul conto di chi mettere in conto ridondanze, verbosità, stridori, metafore banali, cattiva direzione degli attori? Film sbagliato, ma girato bene. Prodotto dalla Sorpasso Film di Marco Risi e Maurizio Tedesco.Critica 1:
Il secondo film di Claudio Caligari, quindici anni dopo Amore tossico, è un jolly per il cinema italiano. L'odore della notte, storia di una banda di rapinatori di borgata, è ispirato, ma alla lontana, al clan dell'Arancia meccanica che, nell'Italia anni 70, derubò, violentò e spaventò i vip. Per raccontare la rivalsa, la lotta al privilegio, la sofferenza. E, nella scena col notabile DC che, pur sequestrato con la famiglia in casa, tra vescovi e foto di Andreotti non rinuncia a offrire un lavoro, ecco il controllo DC sul lavoro". Peccato che Caligari sia stato silenzioso così a lungo: il suo film, prodotto da Risi e Tedesco, è registrato su una sfumatura inedita di grottesco, ha coerenza stilistica e voglia di sparlare. E ha un gruppo di attori bravi e bravissimi, come Valerio Mastandrea che ci confida confusione e dolori: "Il personaggio mi ha dato un senso di libertà con un misto di buffo e tragico. Sono cattivo ma tra le righe, rinunciando alla mia consapevolezza: mica vengo da Stanislavskij. Cosa odio? I compromessi, la fiction tv, il cinema "giovane": perciò mi butto in Rugantino". Attacca Caligari: "Non ho lavorato perché tutti dicevano "sei pazzesco, sei come Bernardo Bertolucci", ma poi non si faceva niente. Ero sgradito al potere del CAF, soprattutto ai socialisti, disturbavo. In quegli anni, se non eri affiliato alla cosca e non ti offrivi di edulcorare o mascherare la realtà, non lavoravi: il dilemma era se fare il soprammobile o usare la coscienza critica. Ora qualcosa è cambiato, il clima è diverso, qualche spazio si è aperto, ma io sono rimasto lo stesso. Però il film non ha avuto divieti e la Rai l'ha comprato per Raidue". Sembrano vicini gli anni 70 con le signore impellicciate e le case pop, ma sono quasi in "costume": "Abbiamo convinto Little Tony, che pure non era stato rapinato, a fare se stesso e a cantare Cuore matto con la pistola puntata". Sempre senza metafore, Marco Risi: "Il cinema italiano da 20 anni non ha più coraggio, si è malato quando è nata la tv commerciale. Hanno distrutto i talenti e i valori, e ora i critici sparano sui nostri e il pubblico plaude: allora?". Il film sconta qualche ripetizione, mette fra parentesi il lato Robin Hood, ma tiene il ritmo morale, attacca un Paese che cadrà nella rete di Tangentopoli, attraccando, alla fine, alla deriva delle crisi esistenziali, sui panorami di borgata, dove già il vivere è una droga. "Ma a me - dice il regista - interessava la valenza simbolica, sono un po' Lumière e un po' Méliès, realista e fantastico. Ora progetto una storia di 'ndrangheta che si svolge a Milano e hinterland, tipo Quei bravi ragazzi di Scorsese. Anche qui un bello spaccato italiano, costruito sulle parole di un pentito".
Maurizio Porro (Il Corriere della Sera), 10 settembre 1998Critica 2:
È un film controcorrente L'odore della notte di Claudio Caligari: sia rispetto al nostro cinema in generale, sia più in particolare, rispetto al genere in cui si inscrive. Il soggetto è ispirato a episodi che occuparono le cronache tra la fine degli anni Settanta e l'inizio del decennio successivo; allorché una gang delle borgate romane tentò di scalare il cielo dei ricchi compiendo rapine sanguinose ai danni della grossa borghesia. Guidati da Remo Guerra (Valerio Mastandrea), poliziotto dalla doppia vita, i rapinatori compiono una escalation che dapprima sembrava favorita dalla fortuna poi, via via, li porta a mirare troppo in alto. Ai palazzi del potere politico, dove circolano valigie gonfie di mazzette e i piccoli delinquenti si bruciano le ali. L'odore della notte è un film per buona parte riuscito, ma necessita di qualche istruzione per l'uso. Se non si coglie subito la coloritura ironica che Caligari ha voluto dare all'intera vicenda (a partire dalla voce narrante di Remo, che parla un linguaggio retorico con tutta l'enfasi dell'incolto), si può restarne spiazzati. Poi, che il regista italiano abbia voluto fare il contrario di un noir d'azione secondo le regole appare evidente: soprattutto nell'episodio in cui Little Tony fa un cammeo come vittima di una rapina, ed è costretto a cantare Cuore matto, sotto la minaccia della pistola, o in quello dove Francesca d'Aloja impietosisce i feroci banditi. A tutto questo si aggiunga il filo rosso meta-cinematografico che traversa il film, citando il primo western della storia del cinema o Martin Scorsese, usando mezzi stranianti come il fermo-fotogramma e lo split-screen, lo schermo diviso alla De Palma, o giocando lucidamente con i codici del genere. Un po' diluito e ripetitivo nella seconda parte, il film di Caligari è più insolito e coraggioso di quanto si potesse aspettare. E Mastandrea, che in chiusura spara al pubblico come il pistolero della Grande rapina al treno di Porter, interpreta bene l'anarchismo e le vaghe motivazioni politiche del suo eroe negativo.
Roberto Nepoti da La Repubblica, 10 settembre 1998 Critica 3:
Per un giorno, due buoni film italiani alla Mostra del cinema di Venezia, ma fuori concorso. Il più spettacolare e comico, benché sia un giallo, è L'odore della notte di Claudio Caligari, storia della "banda dell'Arancia meccanica", terrore di Roma fra il 1979 e il 1983. Il capo (Valerio Mastandrea) - che ruba per rimediare alle ingiustizie di cui si sente vittima - si spiega con la voce fuori campo in un linguaggio del sociologo dilettante che è uno spettacolo nello spettacolo.
Maurizio Cabona (Il Giornale), 10 settembre 1998Critica 4:
L'odore della notte ricostruisce - ispirandosi a un romanzo-verità di Dido Sacchettoni, che Pironti sta per rieditare - le gesta di quella che, aII'inizio degli anni 80, fu celebre a Roma come "la banda dell'Arancia meccanica"; malviventi che irrompevano nelle case dei ricchi, malmenavano e terrorizzavano- i presenti e fuggivano con ricchi bottini. Remo Guerra, nome di fantasia del capobanda dell'"Arancia meccanica", è un figlio della borgata romana. Nel 1979, quando comincia la sua storia, le borgate non sono più quelle di Pasolini: droga e violenza regnano, e Remo è un giovane poliziotto che ne ha viste troppe per credere nei sogni. Il suo slogan è "un po' di roba per me": insieme con due amici, Maurizio e "il Rozzo", si dà alle rapine. Ripercorrendo il citato libro di Sacchettoni, scritto dopo che la banda fu sgominata nel 1983, Caligari fa narrare a Remo stesso la sua storia, creando un singolare contrasto fra il romanesco trucido e borgataro dei dialoghi e una voce fuori campo introspettiva, letteraria, spiazzante. Caligari non faceva film dal notevole Amore tossico, del 1983: anche in questa opera, seconda giunta con troppo ritardo (grazie alla testardaggine sua, e dei produttori Marco Risi e Maurizio Tedesco) il regista parte dalla realtà ma va al di là del naturalismo, dando al film una potenza simbolica magari discontinua ma estremamente forte. Valerio Mastandrea fa sforzi sovrumani per essere più trucido che caruccio, e ci riesce; bravi, accanto a lui, anche i "complici" Marco Giallini, Giorgio Tirabassi e Emanuel Bevilacqua. Strepitosa (e salutata da applausi in Sala Grande) una comparsata di Little Tony, che fa se stesso nei panni di uno dei rapinati. Con la pistola puntata alla testa, è costretto a cantare Cuore matto; lui esegue, ma maluccio, e la battuta di Maurizio è da culto: "A' Toni, mò che fai? Me stoni?"
Alberto Crespi da L'Unità, 10 settembre 1998Fonte da: http://www.mymovies.it/dizionario/recensioni.asp?id=16828------------------------------------------------------------------------------------- "L'ULTIMO CAPODANNO"
Regia: Marco Risi. Con: Antonella Steni, Alessandro Haber, Monica Bellucci, Piero Natoli, Marco Giallini, Maria Monti, Francesca D’Aloja, Marco Patanè, Claudio Santamaria, Angela Finocchiaro Genere: Grottesco Durata: 100 minuti Produzione: Italia Durata: 1998 Interpreta: "Augusto"Sinossi
L'azione si svolge la sera di un 31 dicembre a Roma, frammentata in sei appartamenti di due moderne palazzine. Convengono parenti e amici invitati, ma anche un trio di ladri e una comitiva di smandrappati e trucidi burini. È una commedia corale ad alto costo (con ricorso a effetti speciali, persino digitali) sotto il segno di una ridondanza cannibalesca non sempre controllata, connotata in chiave di un grottesco esasperato che tracima in farsa apocalittica. Da un racconto lungo di Niccolò Ammaniti che ha collaborato alla sceneggiatura. Poco in sintonia col “buonismo” imperante alla Pieraccioni, fu ritirato dopo pochi giorni dal regista-produttore in attesa di una 2ª uscita.Critica 1:
Nella festa di Capodanno di Marco Risi in un complesso d'abitazioni per benestanti a Roma, i romani senza più classi sociali, spesso volgari e rapaci, celebrano il passaggio dell'anno e passano dall'allegria d'occasione alla ferocia surreale. Mentre sullo schermo televisivo strilla euforico il presentatore Riccardo Rossi, Iva Zanicchi frigge il pesce in portineria, Ludovica Modugno si appresta al suicidio, l'avvocato Alessandro Haber s'abbandona all'eros sadomaso, Monica Bellucci piange perché l'amante le preferisce Francesca D'Aloja, due ragazzi fumati vaneggiano, tre ladri trucidi (incluso Ricky Memphis) aspettano il loro momento, la vecchia contessa alcolica Maria Monti fa l'amore con un gigolò napoletano. Champagne, salmone, lenticchie, capitone. Per veloci stadi successivi, nei diversi appartamenti il cenone si trasforma in mattatoio, i protagonisti svelano la naturalezza delle proprie pulsioni di morte e alla fine tutto esplode nel nulla, salta in aria. Nel corso del tempo la intensa semplicità classica di Clint Eastwood a volte si perde in convenzionalità e distrazione: in Mezzanotte nel giardino del bene e del male il protagonista Kevin Spacey risulta frenato sino all'inespressività e gli altri interpreti (inclusa la figlia di Eastwood, Alison) sono appena stereotipi o macchiette. Nel corso del tempo, Marco Risi s'é stufato di se stesso e cerca vie nuove, ne L'ultimo Capodanno tenta d'andare oltre il realismo: ma, se gli attori sono ben diretti, il regista per il grottesco non ha ancora la mano e ci va squadrato, pesante.
Lietta Tornabuoni da La Stampa, 7 Marzo 1998 UN PICCOLO PEZZETTO DI VIDEO TRATTO DA L'ULTIMO CAPODANNO
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